L'omosessualità, tra condanna e pregiudizio, LA MIA TESINA D'ESAME

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°LauraDumb°
view post Posted on 27/6/2006, 00:44




Ecco a voi, la mia tesina d'esame... Buona lettura, a chi se la sente!

Esame di Stato







L’omosessualità
tra condanna e disinformazione


di

Laura Stefani




Introduzione



Scegliere l’omosessualità come tema portante di una Tesina d’Esame è stata una decisione quasi immediata, successiva solo alla volontà di concentrare l’attenzione sulla discriminazione in genere; è stata una scelta di campo fatta con la coscienza che (nonostante io abbia ricevuto pochi attacchi direttamente) l’argomento apparisse un tantino azzardato e fosse quantomeno particolare. So con certezza, inutile negarlo, che molte persone hanno immediatamente pensato e credono tuttora che la mia scelta sia dovuta semplicemente ad esperienze personali omosessuali e che quindi sia solo uno scialbo tentativo di difendere la mia causa. Molti hanno espresso questa loro opinione, anche con allusioni davvero inopportune; in quel momento mi sono vergognata. Per loro, s’intende.
La mia tesina non è una difesa della mia sessualità, è piuttosto un impegno che ho scelto di prendere per raccontare che cosa significhi omosessualità fuori dai canoni troppo comuni e abusati della società moderna: al termine di questa tesina se avrò avuto l’occasione di raccontare anche solo un fatto che veniva precedentemente ignorato, avrò raggiunto il mio scopo, quello cioè di informare e far prendere coscienza di una realtà che è presente, esiste e avanza aldilà del Gay Pride, che pur non mi sento di considerare inutile sfarzo e provocazione.
È di pochi giorni fa - 27 maggio 2006 - la notizia degli scontri in occasione del Gay Pride (ricordo, contestazione assolutamente pacifica) nella città di Mosca, è ancora più recente la paura per quello in Polonia, mentre sembra che a Torino tutto si sia svolto in tranquillità, anche se la polizia in assetto da guerriglia urbana personalmente mi dà molto da pensare: mi sono chiesta più volte da dove siano nate certe necessità, certi bisogni di esporsi. Mi chiedo perché ci sia bisogno di un Gay Pride per esprimere la propria sessualità, che dovrebbe essere quantomeno qualcosa di privato; e la risposta a questa mia domanda è a sua volta un interrogativo: le parate servono per ribellarsi ad una situazione che non è più accettabile (forse non dovrei costruire questo parallelo, ma il movimento femminista, gli scioperi di piazza infondo seguono lo stesso principio). Ma allora, che cosa ci ha portato ad una condizione tale da dover obbligare in qualche modo la gente alle manifestazioni pubbliche del Pride?
È per risolvere – almeno tentare – questo “enigma” che la mia tesina ha preso vita: per informarmi e capire, per ragionare su questioni che volenti o nolenti sono costitutive della civiltà, per difendere soprattutto il diritto d’essere se stessi, d’essere cittadini a pieno titolo con diritti e doveri che prevalgono sulle abitudini sessuali. Mi auguro quindi che il mio lavoro serva a me – innanzitutto – ma che abbia anche uno scopo informativo tale da permettere almeno una discussione pacifica e ragionata sul tema.

La mia tesi ha dunque un obiettivo semplice, che è quello divulgativo, motivo per cui il passaggio tra i vari argomenti che la costituiscono l’ho voluto organizzare sulla scorta di quelle domande che più volte mi è capitato di pormi sul tema dell’omosessualità, andando pian piano a toccare i luoghi comuni, la disinformazione, i pregiudizi, gli ostacoli culturali e le icone che ruotano attorno al tema queer.

Percorso Tematico





1.
- L’omosessualità è una malattia?
- Quali sono le cause?
- Perché non c’è chiarezza sull’argomento in termini scientifici? (biologia)


2.
- La problematizzazione dell’Omosessualità (filosofia – Foucault “L’uso dei Piaceri”)


3. L’omosessualità nell’ottica nazista.
- La situazione nella Germania Pre-Nazista
- Quali furono i veri motivi della persecuzione?
- L’internamento nei Lager: la vita nel campo, gli esperimenti, le cifre del massacro (storia)


4.
- Personaggi – Vita, inserimento sociale, l’omosessualità come chiave di lettura

+ Oscar Wilde (inglese)
+ Andy Wharrol e la Silver Factory (storia dell’arte)
+ Pierpaolo Pasolini – Atti Impuri, Scritti Corsari (letteratura italiana)
+ Federico Garcìa Lorca - poesie d’amore, teatro (spagnolo)

Una stagione all’inferno: Rimbaud e Verlaine


+ Verlaine – Poesie erotiche (Mille et Tre) – Crimen Amoris
+ Rimbaud – Une saison en enfer “Vierge folle" (francese)

5.
– Cinematografia, Bibliografia Contemporanea a tematica omosessuale.



L’OMOSESSUALITÀ È UNA MALATTIA?

La cancellazione dell’omosessualità dall’APA



Nel 1973 l’American Psychiatric Association (APA) prese atto dell'assenza di prove scientifiche che giustificassero la precedente catalogazione dell'omosessualità come patologia psichiatrica, cancellandola dal suo elenco delle malattie mentali, il Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders. La decisione arrivò solo dopo un sofferto dibattito, durato decenni, aperto dalle ricerche di Evelyn Hooker (soprattutto dal suo fondamentale "The adjustment of the male overt homosexual" del 1957) e accelerato da un'azione di contestazione da parte di psichiatri vicini alle idee del neonato movimento di liberazione omosessuale. Il capofila di questa battaglia fu lo stimato psichiatra (eterosessuale) Judd Marmor, autore di numerosi studi in materia d’omosessualità, che sarebbe poi stato presidente dell'APA nel 1975-1976.
Tuttavia alcuni psichiatri, guidati da Edmund Bieber e Charles Socarides, contestarono aspramente la revisione dell'elenco, sostenendo che l'omosessualità è sempre una patologia e che è possibile (anzi, è doveroso) curarla. Allo scopo di contrastare la revisione dell'elenco delle malattie mentali avanzarono inoltre una richiesta insolita, ottenendo che la cancellazione dell'omosessualità fosse sottoposta a un referendum tra tutti gli iscritti all'APA, il quale risultò ad ogni modo ancora favorevole alla cancellazione. Gli oppositori della decisione continuarono comunque, dentro ed anche fuori dell'APA, la loro battaglia per il reinserimento dell'omosessualità nell'elenco delle malattie mentali, fondando a tale scopo apposite organizzazioni internazionali molto attive e molto ben finanziate, in genere d'ispirazione religiosa, quale il Narth (la National Association for Research and Therapy of Homosexuality) nato nel 1992, oggi presente anche in Italia, che lotta "perché sia garantito agli omosessuali il diritto a farsi curare".
Contrariamente a quanto proposto, però, l'omosessualità non fu affatto cancellata in quanto tale dal manuale dell'APA, tant'è che fino al 1992 fu negata l'iscrizione delle persone dichiaratamente omosessuali all'APA. In un primo momento dall'elenco fu depennata solo la cosiddetta "omosessualità ego-sintonica", ossia la condizione dell'omosessuale che accetta la propria tendenza e la vive con serenità. Viceversa, nell'elenco dell'APA rimase fino al 1987 la "omosessualità ego-distonica", ossia il caso della persona omosessuale che non si accetta come tale; a questa persona i terapeuti potevano continuare a proporre cure mirate alla trasformazione in eterosessuale.
Questa decisione, giudicata di compromesso, oltre a non soddisfare gli oppositori della cancellazione, suscitò molte critiche sia del movimento di liberazione omosessuale, sia di una parte consistente degli iscritti dall'APA, secondo i quali il compito della loro professione era aiutare l'"omosessuale ego-distonico" a diventare "sintonico", ossia ad accettarsi come tale, e non modificarne la tendenza sessuale, anche alla luce degli scarsi risultati delle terapie attuate nei decenni precedenti.

I motivi della cancellazione

Fra i difetti e le forme di bias (errori sistematici) più comuni si possono citare:

 La limitatezza del campione studiato. Alcune teorie erano state formulate su campioni ridottissimi, anche inferiori alle dieci persone, e i risultati erano statisticamente non significativi.

 La mancanza di un gruppo di controllo. Alcune teorie erano state formulate senza verificare se le condizioni riscontrate in persone omosessuali fossero presenti anche in un gruppo di controllo di persone eterosessuali di condizione simile. In altri casi il gruppo di controllo era presente, però era stato confrontato un campione di omosessuali con disturbi psichiatrici e un campione di eterosessuali privi di disturbi.

 Bias di selezione del campione di studio. La gran parte degli studi sugli omosessuali era stata compiuta su pazienti psichiatrici, e i disturbi da essi provati erano stati attribuiti all'omosessualità. Gli studi di Evelyn Hooker su omosessuali non psichiatrici, al contrario, non riscontrarono differenze sulla percentuale di persone ben integrate ("well adjusted") che era presente nel campione di omosessuali e nel campione di controllo, composto da eterosessuali non psichiatrici. Un'altra forma di bias consisteva nell'accettazione in terapia solo di pazienti bisessuali o "sessualmente confusi" (per esempio prostituti adolescenti), con l'esclusione degli omosessuali "confermati". In questi casi, la percentuali di "guarigioni" risultava altissima, ma solo per il fatto che le persone "in cura" non erano mai state omosessuali.

 mancanza di follow-up. Alcuni terapeuti vantavano altissimi tassi di "guarigione" di omosessuali, che pubblicizzavano anche attraverso pubblicazioni dirette al grande pubblico. Molti però omettevano di riferire se col passare del tempo i pazienti fossero tornati o meno al loro comportamento precedente. Alcune ricerche in tal senso andavano rivelando percentuali significative di ritorno al comportamento omosessuale.

 non replicabilità degli studi. Semplicemente, l'elevata percentuale di guarigioni vantata da un certo autore non aveva luogo quando la medesima terapia veniva tentata da altri suoi colleghi.

La credibilità e l'efficacia delle terapie dell'omosessualità venne quindi messa in questione fra gli stessi iscritti all'APA da tutti questi motivi assieme, e non da un unico motivo, fosse pure un'azione di lobbying da parte del movimento gay statunitense.
Il quale effettivamente giudicava come la prova d'una discriminazione l'assenza nel manuale diagnostico di una corrispondente categoria per l'"eterosessualità ego-distonica", e chiedeva la cancellazione pura e semplice dell'omosessualità dal manuale stesso.
Ma la decisione dell'APA ebbe basi scientifiche e non politiche, anche se è corretto affermare che la pressione politica esercitata dal movimento gay contribuì ad accelerare il processo decisionale, evitando le lungaggini burocratiche che si riscontrarono invece nel caso dell'OMS.

Situazione Attuale

Dopo la cancellazione dell'omosessualità ego-distonica dalla lista dell'OMS (organizzazione mondiale della sanità), la posizione ufficiale del mondo scientifico, sia negli Usa, sia negli altri Paesi occidentali, ivi inclusa l'Italia, è che l'omosessualità costituisce "una variante del comportamento sessuale umano".
Il compito dell'operatore della salute mentale (psicologo, psichiatra, psicoterapeuta) di fronte a un caso di omosessualità ego-distonica è pertanto aiutare il paziente ad armonizzare la sua tendenza con il resto della personalità in modo ego-sintonico, e non quello di modificarne la tendenza.


QUALI SONO LE CAUSE DELL’OMOSESSUALITÀ?



Tendenzialmente possiamo suddividere le teorie esistenti in due categorie, a seconda del tipo di fattore che si ritiene determini (o predisponga) l'orientamento sessuale.

 Alcune teorie fanno riferimento al cosiddetto determinismo biologico, secondo il quale sarebbero fattori biologici (ad esempio genetici o ormonali) a determinare o predisporre l'orientamento sessuale.

 Le altre teorie (ad esempio la psicoanalisi), sono riconducibili al dominio della psicologia e analizzano il comportamento e l'orientamento sessuale in termini di mente o di esperienze.

Alcune teorie non ricadono però fra quelle sopra elencate perché rifiutano il concetto stesso di "tendenza omosessuale", e quindi la ricerca delle sue cause. Da un punto di vista religioso, ad esempio, esistono teorie che spiegano il comportamento omosessuale in termini di "vizio".

Teorie genetiche e biologiche


Ormoni - Per un certo periodo i ricercatori hanno sostenuto che la determinazione dell'orientamento sessuale fosse dovuta sostanzialmente alla quantità maggiore o minore di ormoni femminili (in particolare l'estradiolo) o maschili (testosterone) presenti nell'individuo nella fase prenatale, indirizzati al cervello durante la settima settimana di sviluppo. La tesi tuttavia é stata in buona parte abbandonata, in quanto ciò avrebbe significato che un'ampia percentuale di maschi, in condizioni cliniche da comportare una carenza di ormoni androgeni nella fase prenatale, sarebbe dovuta essere omosessuale, così come lo sarebbe dovuto essere ogni individuo di sesso femminile esposto in età prenatale ad un eccesso di adrogeni.

Ipotalamo - Nel 1977 Roger Gorski dell'Univerità di Los Angeles, nota che nel cervello dei topi il nucleo che determina il comportamento sessuale é più grosso nei maschi che nelle femmine, scoperta confermata anche da Laura Allen, della stessa università, la quale nel 1989 afferma che anche nel cervello umano il nucleo del comportamento sessuale (INAH-3) è diverso fra maschi e femmine. Il ricercatore olandese Dick Swaab nel 1991 rileva la presenza nel cervello umano di un altro nucleo, l'SNC, il quale non varia secondo il comportamento sessuale (maschio o femmina), ma secondo l'orientamento sessuale. Il maggior impulso alla tesi della causa ipotalamica é dato da Simon LeVay, un neuroanatomista del Salk Institute for biological studies di La Jolla, California, il quale nel 1993 pubblica una ricerca secondo cui sia l'INAH-3 di Allen che l'SNC di Swaab variano non solo a seconda del sesso, ma anche dell'orientamento sessuale. Tale tesi é però contraddetta da William Byne, il quale afferma che LeVay si é servito per arrivare a questa conclusione di cervelli di maschi omosessuali provenienti da persone ammalate di AIDS: l'ingrossamento dei due nuclei potrebbe essere infatti attribuito a disfunzioni ormonali dovute alla malattia.

Cromosomi - Il gruppo di ricerca guidato da Dean Hamer, del National Institut of Heatl, asserisce di aver individuato nella regione del cromosoma X, denominata "xq28", contenente centinaia di geni, il gene determinante l'omosessualità. Studiando l'albero genealogico materno di 114 maschi omosessuali, Hamer ha accertato che il 13,5% dei loro fratelli é gay, come pure il 7,5% dei cugini maschi e degli zii, individuando una percentuale molto maggiore rispetto a quella della media della popolazione. L'incidenza dell'omosessualità nella famiglia paterna é risultata invece nella media della popolazione. Hamer sostiene quindi che l'omosessualità sia trasmissibile solo per via materna e che responsabile sia probabilmente un gene del cromosoma X. Valida o meno la teoria cromosomica, certo é che basta un nulla per creare polemica: James Watson, scopritore nel 1953 con Francis Crick del DNA, in un'intervista al Sunday Telegraph, rivendica il diritto per la madre di abortire nel caso in cui il figlio abbia imperfezioni, tra le quali nomina l'omosessualità.


Teorie Comportamentali

L’omosessualità, dice Joseph Nicolosi, uno dei più noti esponenti nella ricerca e nella terapia dell’omosessualità, non è una malattia ma il sintomo di un disturbo avvenuto nello sviluppo dell’identità: è il sintomo di un problema emotivo e rappresenta bisogni emotivi insoddisfatti nell’infanzia, specialmente nella relazione con il genitore dello stesso sesso.

Nell'omosessuale maschio lo sviluppo dell’identità è stato disturbato da fattori ambientali che possono variamente combinarsi e che possiamo sintetizzare in questo modo:

• assenza del padre
• padre insignificante e non autorevole
• padre che non ama, non ascolta e non aiuta a crescere il figlio
• assenza di modelli maschili alternativi
• una madre iper-coinvolta, intrusiva e talvolta dominante
• un ragazzo costituzionalmente sensibile, introspettivo e raffinato che è esposto ad un rischio maggiore di sentirsi carente nell'identità sessuale
• difficoltà di relazionarsi con i coetanei
• abusi sessuali subiti nell’infanzia
• interpretazione negativa della figura paterna, per aspetti caratterologici del bambino, anche se il genitore non è inadeguato.
• un precoce condizionamento dovuto ad atti sbagliati e ripetuti a un punto tale da trasformarsi in abitudini

Il bambino, per questi motivi, attua il cosiddetto "distacco difensivo" (teoria di Elizabeth R. Moberly), cioè rifiuta il padre come modello e in quanto maschio.

Sempre secondo questa tesi, per quanto riguarda le donne, la psiche femminile ferita porta all'omosessualità e la ferita è dovuta a situazioni di vita che provocano un atteggiamento ambivalente nei confronti della femminilità. Questo messaggio viene veicolato attraverso 8 situazioni tipiche che sono state spiegate dalla psicologa Diane Eller Boyco, ex lesbica e oggi coniugata.

• trasmissione alla figlia di un'immagine negativa della femminilità
• l’ideologia femminista rivoluzionaria e la cultura maschilista danno un'immagine negativa della femminilità
• madre vittima passiva dei soprusi del marito o umiliata dal marito o considerata insignificante rispetto ai ruoli maschili
• madre vittima di abusi che comunica alla figlia che essere donna è rischioso
• interruzione traumatica del legame madre-figlia
• trauma provocato da una violenza sessuale
• figlia non desiderata e non accettata
• complesso di inferiorità rispetto alle coetanee


PERCHÉ NON C’È CHIAREZZA SULL’ARGOMENTO
IN TERMINI SCIENTIFICI?



Esaminando le teorie proposte per spiegare le cause dell'omosessualità, è evidente l'assenza di un nucleo minimo di dati che riesca ad ottenere il consenso di una maggioranza dei ricercatori. Da questo punto di vista, quindi, è lecito affermare che al momento attuale la "causa" dell'omosessualità non è nota, e che a proposito abbiamo, per ora, unicamente ipotesi.
Questo non vuol dire che sia filosoficamente impossibile arrivare a dare una risposta a questa domanda. Significa solo che, al momento attuale, nessuna teoria è riuscita a raggiungere il livello minimo di verificabilità richiesto dalla scienza per definire "vera" una teoria.
Il limite di queste ricerche è stato, finora, la ricerca di una spiegazione della genesi dell'omosessualità che prescinde dalla domanda sulla genesi dell'eterosessualità. Una parte eccessiva di tali ricerche postula infatti l'eterosessualità come un dato che esiste in sé e per sé, che non ha bisogno di spiegazioni, che non ha uno sviluppo, che non ha una storia diacronica ma è un dato fisso, eterno, uguale a se stesso da tutti i secoli e nella vita di ogni singolo individuo. Il che equivale, dal punto di vista metodologico, a voler spiegare cosa sia il ghiaccio rifiutando di sapere cosa siano l'acqua o il vapore: un approccio scientifico che postulasse, a priori, che acqua e ghiaccio sono realtà diverse, non studiabili contemporaneamente, non otterrebbe in effetti "spiegazioni" più di quante ne abbia ottenute la ricerca sulle cause dell'omosessualità.
Una ricerca sulle cosiddette "cause" dell'omosessualità potrà quindi ambire ad uno status scientifico soltanto se:

• riesce a spiegare lo sviluppo dell’intera sessualità umana, e non solo della piccola frazione che si esprime in modo omosessuale. Da questo punto di vista, quindi, gli studi dovrebbero essere indirizzati in primo luogo a capire la genesi dell'eterosessualità, che è il comportamento sessuale prevalente nella società. Viceversa, la ricerca su questo tema non suscita alcun entusiasmo. In questa anomalia si riscontra un bias (distorsione) da parte dei ricercatori, che evitano di studiare ciò che la società giudica in-discutibile, concentrando la ricerca su ciò che invece è giudicato "controverso". In tal modo però si pretende di comprendere l'eccezione senza avere una chiara idea di quale sia la regola. Questo non è un metodo scientifico valido, e non a caso dopo un secolo e mezzo di studi non si è ancora avuto alcun risultato indiscutibile.

• riesce a spiegare la presenza della tendenza omosessuale all'interno del mondo animale. Qualunque spiegazione che si limiti al solo dato culturale ignora il fatto che l'omosessualità esclusiva è stata osservata in moltissime specie animali. Qualunque spiegazione che si limiti al solo dato biologico, invece, ignora il fatto che la sessualità è, per la razza umana, un dato niente affatto "puramente biologico", ma è fortemente plasmato dalla cultura. Dunque, una spiegazione deve essere in grado, per essere soddisfacente, di tenere presenti entrambi questi aspetti. Cosa che nessuna delle proposte presentate fino ad oggi è stata in grado di fare.

• riesce a spiegare quale sia il vantaggio riproduttivo che consente al comportamento omosessuale di non essere eliminato dalla selezione naturale. Infatti, se non esistesse un elemento vantaggioso nel fattore, qualunque esso sia, che causa l'omosessualità esclusiva, allora non si spiegherebbe la sua perpetuazione, nonostante essa incida sull'aspetto su cui la selezione naturale è massimamente sensibile: la riproduzione. Da questo punto di vista, il modello teorico della spiegazione potrebbe essere simile a quello che spiega in quale modo i difetti genetici causa delle talassemie non sono stati eliminati dal pool genetico delle popolazioni viventi nelle aree colpite dalla malaria. In forma omozigote, infatti, il gene difettoso provoca anemia e morte, ma se è presente in una sola copia, allora conferisce alla prole resistenza alla malaria. Chi invece non possedesse affatto il gene difettoso sarebbe maggiormente soggetto ad ammalarsi e morire di malaria, e quindi perpetuerebbe meno i propri geni, per quanto essi siano "sani".



Linker



Oggi la concezione mediamente diffusa di omosessualità contraria alla morale, vizio, piuttosto che patologia, mette chi pratica l’omosessualità in un piano d’inferiorità rispetto alla normalità, cioè alla maggioranza della popolazione mondiale.
Per quel che riguarda il mondo occidentale, molto si deve alla religione cristiana, strenua sostenitrice del rapporto eterosessuale e della famiglia canonica in quanto atta alla procreazione e di conseguenza accanita oppositrice dell’omosessualità. È comunemente risaputo, invece, che precedentemente alla diffusione del cristianesimo in territori come la Roma Imperiale e la Grecia classica, l’omosessualità (usando il termine impropriamente) veniva non solo tollerata, ma in determinate circostanze il rapporto tra due uomini ricopriva nella società un ruolo fondamentale. Per poter avviare una discussione in merito, bisogna innanzitutto concentrarsi sulla diversa concezione di atto sessuale: mentre la morale religiosa occidentale concepisce il sesso esclusivamente come mezzo per la procreazione (e quindi inevitabilmente proibisce i rapporti omosessuali), in epoca classica – pagana – il rapporto sessuale era ben lontano dell’essere visto come qualcosa di negativo.

LA PROBLEMATIZZAZIONE DEI RAPPORTI OMOSESSUALI



Ragionando in termini di “cristianesimo” e “paganesimo” (benché siano categorie troppo vaste per chiarificarne i tratti costitutivi), viene naturale chiedersi su quali punti la morale sessuale cristiana differisca dalla morale sessuale dell’antico paganesimo.
Innanzitutto, bisognerebbe sottolineare il valore dell’atto sessuale stesso: mentre il cristianesimo gli attribuisce un significato del tutto negativo intendendolo come vizio, nell’antichità al rapporto sessuale venivano assegnati valori positivi. Si potrebbe anche concentrare l’attenzione sul partner legittimo, in quanto a differenza della cultura classica, il cristianesimo predica l’atto sessuale accettabile solo all’interno del matrimonio monogamico e a scopo puramente procreativo. Ma anche il culto della verginità, dell’astinenza e della castità sono frutto della morale cristiana, lontani dalla concezione pagana della sessualità.
Sembrerebbe a questo punto che i dettami della morale cristiana risultino del tutto sconosciuti agli Antichi, ben poco preoccupati al riguardo, ma non è così semplice. Le “regole” che oggi governano la morale cristiana poggiano le basi nel paganesimo, in particolare in alcune paure molto antiche che già in epoca classica erano non solo ben radicate, ma divenute coscienza comune, faticarono ben poco ad entrare tra le leggi non scritte della morale pagana, e a seguire, in quella cristiana.
Per quel che riguarda l’omosessualità, il problema che si presentava era legato strettamente alla figura dell’uomo. Bisogna innanzitutto chiarire che quando si parla di omosessualità nella Grecia classica si intende prettamente quella maschile, anche se quella femminile non venne mai bandita o considerata dannosa (piuttosto veniva bellamente ignorata). Quel che preoccupava all’interno di una coppia definibile omosessuale di due uomini non era tanto l’atto dell’avere rapporti carnali con il proprio sesso, ma quanto il perdere la propria identità: l’accusa ai giovani uomini che curavano troppo il loro aspetto, che si presentavano come effemminatus, fannulloni e in tutto e per tutto simili alle donne era un’accusa pesante perpetuata da nomi illustri della letteratura classica, a dimostrazione che il problema sussisteva e non veniva affatto lasciato in secondo piano. Infatti una delle differenze sostanziali tra la classicità e l’epoca moderna, se si vuole, è principalmente quella di una morale virile, di leggi scritte, pensate e dirette a uomini liberi, relativa a comportamenti in cui essi devono far uso del loro diritto, del loro potere, della loro autorità e della loro libertà. Michel Focault, a proposito, dice che il tema dell’austerità sessuale va inteso “come elaborazione e stilizzazione di un’attività nell’esercizio del suo potere e nella pratica della sua libertà”, ponendo dunque nuovamente l’accento sulla capacità di mantenere la sovranità su sé stessi, senza lasciarsi concupire e conseguentemente perdere le caratteristiche che costituiscono l’uomo come libero e capace di gestire una propria volontà di potere. La morale dunque non è più solo un’insieme di leggi da seguire in una comunità, ma morale è anche formazione di sé attraverso le scelte, tra tutte, quelle sessuali. Circoscrivere l’attività sessuale secondo alcune regole era inizialmente una volontà di non perdere la coscienza di sé e dei proprio doveri e diritti.
In Grecia dunque, la distinzione che oggi conosciamo tra omosessualità ed eterosessualità non esisteva propriamente, bensì si distingueva tra controllo di sé e fiacchezza, così come nel Simposio di Platone Pausania distingue due diversi tipi di Eros,l’eros di Afrodite Pandemia (superficiale, che mira solo all’atto in sé senza aspirare al bello) e quello di Afrodite Urania, l’eros prettamente rivolto all’amore tra uomini in quanto incarnanti forza, stabilità e bellezza. La concezione greca considerava il sentimento tanto più sublime, quanto era degno l’oggetto a cui questo si rivolgeva, quindi l’uomo – soggetto di leggi e pienamente in grado di godere della libertà – era l’obiettivo più rilevante e soprattutto il più delicato, tanto da dover sottoporre le pratiche sessuali che lo vedevano implicato ad una morale piuttosto rigida.
Il rapporto tra uomini implicava quasi necessariamente una differenza d’età, così che il più giovane (l’amato) potesse trarre vantaggio dall’adulto (l’amante) allo scopo di creare una coppia esteticamente bella: l’erastes era colui che amava, elargiva doni e otteneva dal giovane una sorta di ricompensa, mentre l’eromenion doveva guardarsi dal cedere troppo facilmente alle richieste pressanti dei suoi amanti. Il rapporto diventa dunque un rapporto morale dal quale il giovane deve ricavare la capacità di autogovernarsi e di riuscire a misurarsi col potere esercitato da un esterno su di sé. Il ragazzo che gode della libertà ma che si sottomette volontariamente è visto come ignominioso, ma è proprio questa sua condizione di non completa formazione che permette il rapporto “omosessuale”, a patto che l’equilibrio tra quel che si concede e quel che invece viene negato sia costante, che il giovane non finisca per prostituirsi ai suoi amanti. Se questo accade infatti il giovane diventa oggetto sessuale, perde la libertà, e in nessun modo potrà essere in grado di ricoprire cariche pubbliche in cui risulta fondamentale la virilità del soggetto. Sorge dunque una sorta di contrapposizione: il ruolo di passivo non viene bene visto perché riduce l’uomo a sottomesso, ma allo stesso tempo il rapporto con l’adulto serve come formazione del giovane. Il rapporto amante-amato diventa ammissibile solo nell’antinomia del giovane, che è oggetto del piacere legittimato, ma non deve identificarsi in questo ruolo. L’essere soggetto e non oggetto di piacere è una non-coincidenza moralmente necessaria. Quando il ragazzo cede alle avances dell’adulto lo fa per compiacerlo, non per piacere personale: l’unico piacere ammesso è quello del poter soddisfare l’altro.
Lo scopo del rapporto, riassumendo, è quello di un’elevazione ad una condivisione di gioie e sentimenti, che sfocia nel particolare sentimento della philia, l’amicizia profonda.
Nel Simposio Socrate, riportando le parole della sacerdotessa Diotima, afferma che Eros è costitutivamente un demone in quanto manca di qualcosa che lo renda un Dio; la sua situazione particolare è quella di trovarsi a metà strada tra l’immortalità e la mortalità, tra l’ignoranza e la sapienza, motivo per cui Eros è spinto alla ricerca. La ricerca della Sapienza, quindi del vero e del buono, passa necessariamente per la ricerca del bello ed è la situazione particolare dell’amante in rapporto a quella dell’amato.
Quando dunque l’uso dei piaceri è atto alla ricerca della verità, questo è vero amore: il nesso amore-verità però, nell’orizzonte cristiano ruota attorno alla purezza e all’austerità, mentre nella Grecia classica giocava sul rapporto morale dell’amore giovane-adulto.
L’elevazione alla philia mira alla conoscenza vera, allo spostamento dall’oggetto al soggetto, così che i due soggetti si trovino sullo stesso piano e siano in grado di gioire uno dell’altro, perché l’amore rivolto al bello mira all’anima, prima che al corpo. Il rapporto sublime perdeva dunque contatto con la parte “fisica” per spostarsi su un piano puramente mentale di ricerca della verità, in una progressiva purificazione dell’amore che si rivolge solo all’essere nella sua verità: Socrate era l’esempio illustre di capacità di controllo su di sé, della rinuncia del piacere per il raggiungimento della conoscenza vera. Quello che dunque era un modo per stilizzare e valorizzare l’amore tra uomini è divenuto, invece, uno dei modelli cristiani di qualificazione della fisicità.

L’omosessualità nell’ottica Nazista



LA SITUAZIONE NELLA GERMANIA PRE-NAZISTA



Se l'Europa del XVIII secolo è terreno fertile per i germi della Rivoluzione Francese, essa è anche la culla del razzismo moderno. La fede ottocentesca nella scienza, e in particolare nella scienza applicata allo studio dell'uomo, occupandosi della sessualità umana ne studia le 'devianze' e crea la categoria clinica dell'omosessualità e ne cerca un antidoto, una normalizzazione mediante la terapia: psichiatria e antropologia, giurisprudenza e letteratura, tutti si occupano di porre rimedio al male curabile dell'omosessualità e insieme di canonizzare la famiglia tradizionale. Dagli anni Cinquanta dell’Ottocento la medicina inizia ad occuparsi della sessualità e dell'omosessualità; il processo di medicalizzazione della questione compie un passo importante nel 1870, con la comparsa sulla rivista di neuro psichiatria "Archiv für Psychiatrie und Nervenkrankheiten" di un articolo in cui si parla di "sentimento sessuale contrario", visto come sintomo di una malattia nervosa. Tra fine Ottocento e inizio Novecento numerosi sono gli studi sulla sessualità, e all'inizio del XX secolo nasce l'espressione "scienze sessuali" ad indicare la nuova disciplina. Tra gli altri, si ricordano l'opera di Otto Weiniger che, in "Sesso e carattere", del 1903, sostiene il primato del maschio ariano, razionale, sulle donne; lo scienziato italiano Cesare Lombroso (1835-1909) cerca di dimostrare che l'omosessualità, congenita, si accompagna sempre ad altre patologie ("L’uomo delinquente", Torino, Bocca, 1878); si afferma la tesi della degenerazione - sostenuta anche da Richard von Krafft Ebing (1840-1902) in "Le psicopatie sessuali con speciale considerazione alla inversione sessuale", Torino, Bocca, 1889 - secondo la quale gli omosessuali sono geneticamente derivati da un filone evolutivo con geni degenerati, e la presunta differenza genetica comporterebbe una diversità dell'omosessuale non solo psicologicamente e moralmente, ma anche fisicamente. Anche la medicina, oltre alla Chiesa e alla polizia, pretende ora di occuparsi dell'omosessualità, intesa come una malattia da curare. Insieme alle spiegazioni dell'omosessualità come problema ereditario, medico, psichiatrico, si afferma la teoria dell'omofilia epidemica; la spiegazione epidemica distingue gli omosessuali attivi e passivi nella seduzione e nell'atto sessuale. Il controllo sociale cerca di occuparsi innanzitutto dell'omosessualità acquisita, a proposito della quale medici, antropologi, scienziati, studiosi delle malattie nervose, ritengono possibili cure e guarigione, mentre la cosiddetta omosessualità innata non appare curabile ma solo reprimibile. Un episodio di cronaca nera del 1924 – una serie di atroci delitti a sfondo omosessuale ad Hannover - porta al rafforzamento della teoria della degenerazione rispetto a quelle concorrenti della decadenza (l'omosessualità legata al declino sociale) e della seduzione (l'omosessualità intesa come corruzione).

A cavallo tra Ottocento e Novecento, insieme alla diffusione di bar, locali, punti di ritrovo, in Germania si formano gruppi di amici omosessuali che possono incontrarsi più liberamente e che danno vita ai germi di un movimento omosessuale consapevole, volto a promuovere la parità di diritti. Un evento di particolare importanza per la presa di coscienza dell'opportunità di depenalizzare l'omosessualità è nel 1895 il processo inglese a Oscar Wilde (1854-1900), a seguito del quale la rivista socialdemocratica tedesca "Die Neue Zeit" scrive un articolo che non assolve gli omosessuali dall'accusa di malattia (pur escludendo il vizio), ma afferma comunque l'inadeguatezza del paragrafo 175. ["Un atto sessuale innaturale commesso tra persone di sesso maschile o da esseri umani con animali è punibile con la prigione. Può essere imposta la pena accessoria della perdita dei diritti civili"]. La società tedesca è tuttavia attraversata da profonde lacerazioni, e accanto ai sostenitori della tolleranza vi sono i ben più numerosi attaccanti dei costumi omosessuali. Nella crociata contro l'omosessualità si distinguono non solo medici e antropologi, ma anche movimenti reazionari e di destra, difensori della moralità e della famiglia tradizionale, e le chiese, quella protestante in primo luogo. E' soprattutto l’atteggiamento delle istituzioni ecclesiastiche a radicare nella popolazione l’avversione per l’omofilia e per l’omosessualità, e a far sì che la persecuzione di gay, lesbiche e transessuali avverrà con il silenzio o con il tacito consenso delle masse. La diversa posizione della chiesa nei confronti dell'eutanasia e della sterilizzazione - che ad ogni modo tocca anche molti omosessuali - comporterà invece una diffusa critica della politica razziale nazista che uccide o sterilizza decine di migliaia di persone; le critiche degli ecclesiastici si diffonderanno tra la popolazione tedesca tanto che i nazisti saranno costretti a ridimensionare, sino a concludere, il "programma T-4" designante lo sterminio di handicappati fisici, malati mentali, persone considerate inutili, asociali, pericolose. Ad ogni modo, le opposizioni al cosiddetto programma eutanasia non saranno mai politiche ma emotive, coinvolgendo esse legami familiari, affetti, solidarismo religioso verso i deboli per tradizione difesi dalle chiese.
Nella Germania uscita sconfitta dalla Prima Guerra Mondiale, la fragile democrazia di Weimar si trova dilaniata dall'inflazione, dalla disoccupazione, dalla crescita di movimenti nazionalisti e reazionari, dalle tensioni sociali; l'estrema destra cresce grazie al clima d'insicurezza e di paura diffuso tra la popolazione e tra i suoi primi bersagli, dopo comunisti ed ebrei, vi sono altri gruppi disprezzati quali gli omosessuali. Già nel 1921, un gruppo razzista attenta alla vita di Magnus Hirschfeld (fondatore del Comitato Scientifico Umanitario per l’abolizione dell’art. 175) all'uscita da una conferenza a Monaco; due anni dopo a Vienna Hirschfeld subisce un secondo attentato mentre giornali nazisti o simpatizzanti della destra estrema si scagliano contro locali ed esponenti omosessuali o transessuali. Per quanto riguarda invece l'opinione pubblica tedesca, una crescente avversione e paura nei confronti dei gay possono essere fatte risalire al 1924, grazie al fatto di cronaca di Hannover. I giornali, a partire da "Der Angriff" ("L’Attacco"), sfruttano la vicenda per fomentare le paure popolari e i pregiudizi antiomosessuali, mentre i nazisti si scagliano contro gay ed ebrei, e soprattutto contro il "Comitato Scientifico Umanitario" di Hirschfeld. Particolarmente attivo contro i gay è il giornale nazista "Völkischer Beobachter" ("Osservatore Popolare"); che grida allo scandalo quando, nel 1928, Hirschfeld viene invitato in una scuola superiore a parlare del suicidio giovanile. Lo stesso anno, il partito nazionalsocialista dichiara propri nemici gli omosessuali, accusandoli di diffondere il loro "male" nella società tedesca e di intaccare la sua sana mascolinità e la sua capacità riproduttiva.


QUALI FURONO I VERI MOTIVI DELLA PERSECUZIONE?



Dal 1925, i nazisti si inseriscono nel dibattito sulla riforma del codice penale e sull'abrogazione del paragrafo 175 che penalizza l’omosessualità, esprimendosi nettamente contro. Tuttavia, fino a quando le istituzioni democratiche tedesche resistono all’erosione dell'estrema destra, la politica nazista nei riguardi dell'omosessualità è priva di efficacia, come dimostrano sia la presenza di un dibattito parlamentare per l'abrogazione del paragrafo 175 (nonostante l'opposizione dello Nsdap, il "Partito nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi"), sia l'assenso espresso in tal senso nel 1929 dalla Commissione Penale del Reich. Come altri partiti di destra e sostenitori di valori borghesi, i nazisti interpretano l'omofilia nell'ottica della decadenza generale favorita dalla Repubblica di Weimar e considerano quindi l'omosessualità un'aberrazione sociale. Tuttavia, l'odio nazista nei confronti degli omosessuali è più forte di quanto non sia da parte di altre componenti sociali reazionarie: insieme all'antisemitismo, l'omofobia rientra infatti nella peculiare ideologia nazionalsocialista della purezza razziale: dunque, la sodomia non è più solo un crimine, ma un attentato alla preservazione della razza ariana. Un primo successo per i nazisti è già nel 1926 la promulgazione di una legge volta a proteggere la gioventù dalle pubblicazioni oscene: sono vietate numerose riviste lesbiche e gay e i loro autori e promotori costretti al silenzio. Tra gli altri, cessa le pubblicazioni "Die Freundin" ("L’amante donna"), mentre "Garçonne", un’altra rivista femminile, diviene di difficile reperimento. Nel 1930, il giornale ufficiale del partito nazista "Völkischer Beobachter" ("Osservatore Popolare") pubblica un articolo in cui indica esplicitamente il destino auspicato per gli omosessuali: la deportazione.

Sotto il profilo dell’indagine scientifica, all’interno del nazismo si contrappongono diverse interpretazioni mediche dell’omosessualità. Tra quanti la considerano un problema medico, si distingue il dottore danese Carl Vaernet (1893-1965) - poi incaricato di svolgere esperimenti medici su cavie omosessuali nei lager - mentre il giurista Rudolf Klare propende per una spiegazione sociale epidemica. Le premesse ideologiche della persecuzione sono poste al convegno di Zurigo del 1934, organizzato dalla "Federazione Internazionale delle Organizzazioni Eugenetiche", proprio da Rudolf Klare - la cui tesi sarà poi esposta nel testo ufficiale nazista "Omosessualità e diritto penale", esito della sua tesi di dottorato del 1937. In occasione del convegno, Klare propone pene più severe e persino lo sterminio fisico, includendo per la prima volta tra gli omosessuali da perseguire anche le lesbiche, ignorate dall'articolo 175. A giustificazione della propria posizione, Klare affermerà poi nel suo libro che “ i degenerati devono essere eliminati per la purezza della razza".

La politica nazista verso l'omosessualità è, ad ogni modo, spesso subordinata a considerazioni diverse e opposte al problema della moralità sessuale: quando sembra più opportuno, il Partito Nazionalsocialista attua una relativa tolleranza, ad esempio verso membri delle chiese e nei confronti dell'esercito, come nella "Hitlerjugend" (la "Gioventù Hitleriana"). Nell'ideologia nazista sono poi ambiguamente presenti alcuni aspetti omosessuali dei movimenti giovanili, quali il cameratismo, i legami con la natura, la forza fisica, l'esaltazione della bellezza corporea maschile e virile. Inoltre, all'interno delle file delle SA ("Sturm Abteilungen", i "Reparti d’Assalto", meglio noti come "camicie brune") ci sono molti omosessuali, che uniscono il cameratismo alla glorificazione della mascolinità; il loro capo Ernest Röhm (1887-1934), che ha aiutato Adolf Hitler (1889-1945) a conquistare il potere, è tra i più noti omosessuali eccellenti. Röhm è persino membro della "Lega per i Diritti Umani" - associazione patrocinante l’abrogazione del paragrafo 175 e portavoce dei gay tedeschi - e, quando i suoi nemici cercano di farlo cadere in disgrazia usando contro di lui le sue preferenze sessuali, Hitler lo difende in nome del rispetto della vita privata che nulla ha a che vedere con l'appartenenza a un gruppo di combattimento come le SA o con l'ideologia nazionalsocialista. Come a dire che morale nazista e preferenze sessuali non entrano in conflitto: lo dimostrerebbero anche la tolleranza verso l'attore e regista teatrale gay Gustaf Gründgens (1889-1963), protetto dal gerarca nazista Hermann Göring (1893-1946), e il fatto che in occasione delle Olimpiadi berlinesi del 1936 sia concessa la riapertura di alcuni bar omosessuali - anche se forse si tratta di una misura di facciata, tesa a mostrare agli ospiti stranieri una tolleranza che in realtà non esiste. Allo stesso tempo, la persecuzione di alcune personalità politicamente invise al regime può avvenire con il pretesto della loro omosessualità: accade a Werner von Fritsch (1880-1939), Comandante in Capo dell'Esercito e ostile alle SS (Schutz-Staffeln, squadre di protezione): egli si trova coinvolto nei giochi di potere e di alleanza tra generali in lotta per il comando delle Forze armate, subisce un complotto in cui viene accusato di aver avuto rapporti omosessuali ed è costretto a dimettersi; una successiva inchiesta pretesa dall'Esercito dimostrerà che si è trattato di un complotto della Gestapo, ma l'indagine sarà insabbiata, mentre l'esercito che ha sempre difeso von Fritsch sarà accontentato solo con il suo proscioglimento dall'accusa di omosessualità, senza però che egli sia reintegrato al comando.



L’INTERNAMENTO NEI LAGER:
LA VITA NEL CAMPO, GLI ESPERIMENTI E LE CIFRE DEL MASSACRO



Trattando dello sterminio fisico degli omosessuali, si impone una premessa: se innegabile è il fatto che i nazisti hanno teorizzato la diversità degli omosessuali, i pericoli di cui sarebbero portatori e la conseguente necessità di perseguirli penalmente, e se essi sono giunti all'uccisione di molti omosessuali, tuttavia lo sterminio è una conseguenza aberrante dell'odio razziale verso una forma di alterità che però, diversamente da quella ebraica, nell'ottica hitleriana non deve scomparire completamente e a qualsiasi costo. Anzi, essendo gli omosessuali tedeschi comunque degli ariani, i nazisti auspicano la loro 'rieducazione' alla eterosessualità, in modo da tornare a procreare per la nazione. Per questo motivo, lo sterminio dipende dalla brutalità e dall'erroneità (come nel caso degli esperimenti medici) dei metodi correttivi, ma non da un progetto intenzionale di eliminazione fisica - e difatti sono pochi gli omosessuali inviati nei campi di sterminio polacchi. E’ vero che la propaganda e la pubblicistica nazista hanno toni omofobici assai violenti e incitano all'eliminazione fisica degli omosessuali, ma nei fatti ogni sospettato che riesca a dimostrare la propria innocenza è rilasciato, e anche nei confronti degli omosessuali che hanno indubbiamente commesso il fatto per cui sono incriminati, o che offendendo la morale pubblica auspicata dal nazionalsocialismo non nascondono le proprie inclinazioni, le misure attuate sono punitive e correttive. Di fatto, comunque, l'eliminazione fisica si è verificata.

Le prime tappe dello sterminio

A voler individuare una data importante nel percorso che dalla persecuzione penale dell’omosessualità conduce allo sterminio, si potrebbe fare riferimento al 1936. E’ infatti in questo anno che Heinrich Himmler crea il "Reichszentrale zur Bekämpfung der Homosexualität und Abtreibung" ("Dipartimento della Sicurezza Federale per Combattere l’Aborto e l’Omosessualità") all’interno del Dipartimento di Polizia Criminale: Ufficio Speciale Sezione SD II-S. Nel decreto atto all’istituzione dell’Ufficio, si afferma la pericolosità dell'aborto e dell'omosessualità sia per la procreazione delle future generazioni tedesche, sia per la moralità della gioventù. Compito del nuovo ufficio creato da Himmler è registrare schede di criminali o di antisociali da inviare alla Polizia Criminale e alla Gestapo, che procedono poi più rapidamente possibile contro gli indagati, omosessuali compresi. L'Ufficio deve dunque registrare manifestazioni di omosessualità, travestiti, abortisti, produzione e commercializzazione di medicinali abortivi e di contraccettivi, schedare omosessuali o sospetti tali, comparare dati e cercare i nessi tra gli individui registrati. La sua banca dati, che conta solo nel 1940 ben 41.000 nomi, permette non solo di coordinare indagini, arresti e procedimenti penali, ma anche di fornire materiale umano richiesto da istituti di ricerca volti a curare l'omosessualità, quali l'"Istituto di Psichiatria Generale e di Psicologia Militare" all’Accademia di Medicina Militare di Berlino, l' "Istituto di Ricerca Psicologica e di Psicoterapia" a Berlino e la "Scuola di Insegnamento e di Ricerca per l’Ereditarietà Umana e la Politica Razziale" all’Università di Jena.

L’inasprimento delle pene

Nel 1937 le SS stimano nuovamente l'ammontare degli omosessuali tedeschi a quasi due milioni. In un famoso discorso indirizzato alle SS, tenutosi a Bad Tölz il 18 febbraio 1937, Heinrich Himmler spiega le ragioni della lotta nazista all'omosessualità e prevede lo sterminio per gli 'incurabili'. Dopo l'enciclica "Mit Brennender Sorge" (1937) di Pio XI contro le violazioni naziste del Concordato con la Chiesa cattolica, i nazisti si scagliano contro la Chiesa dando via all'arresto di preti gay. In un discorso dell'agosto 1941, Adolf Hitler dichiara che gli omosessuali sono criminali nemici della nazione, e che l'omosessualità è punibile con la morte; egli esprime poi particolare disappunto per l’estensione del fenomeno nella Gioventù Hitleriana e nelle forze di polizia. Tre mesi dopo, un nuovo decreto stabilisce che i membri delle SS o della "Wehrmacht" (esercito) scoperti in atteggiamenti omosessuali devono essere espulsi e processati. All'inizio del 1942 un ulteriore provvedimento definisce la procedura in caso di incriminazione per omosessualità: particolarmente dure le sanzioni per le SS, che incorrono nella pena capitale, dal momento che invece di macchiarsi di un crimine tale dovrebbero essere esempio per la nazione e vegliare sulla sua moralità. Dal 1941-42 le condanne legali e il carcere comminato in base al paragrafo 175 diminuiscono sensibilmente, perché la persecuzione diviene più diretta e invasiva: gli omosessuali o i sospetti tali sono inviati nei campi di concentramento. Va però ricordato che la detenzione nei lager inizia per gli omosessuali già nel 1934, a Dachau e a Oranienburg; a centinaia sono poi internati soprattutto a Sachsenhausen e a Buchenwald in occasione delle Olimpiadi di Berlino del 1936: la Germania deve apparire un Paese pulito e sano. Nel 1939 molti omosessuali sono deportati nel campo di concentramento di Mauthausen, in Austria. Negli anni successivi, gli omosessuali sono deportati anche a Auschwitz, Bergen-Belsen, Demblin, Dora, Emsland, Flossenbürg, Gross Rosen, Natzweiler, Nieborowitz, Neuengamme, Ravensbrück, Stuhm, Schirmeck e in molti altri campi e sottocampi.
Nel lager, i gay fanno parte dei prigionieri sistematicamente uccisi per il divertimento delle SS, che traggono soddisfazione non solo dal possesso del diritto di vita e di morte, ma anche dal potere di elargire la vita se i detenuti superano particolari prove, ovviamente impossibili, come trasportare pietre enormi. Nel campo di Sachsenhausen, una delle pene sadiche cui sono condannati i prigionieri gay consiste nel testare la durata di nuove suole sintetiche: i detenuti sono costretti a correre per una quarantina di chilometri ininterrottamente, pena le botte o essere sbranati dai cani che li inseguono affinché non si fermino; spesso corrono sino a cadere esausti a terra - cosa che comporta la morte certa. Tra il 1936 e il 1945 passano per Sachsenhausen circa 1.200 omosessuali; di questi tra il 1939 e il 1943 ne muoiono oltre 600. Non si conosce invece l'entità dei decessi in seguito a esperimenti medici volti a curarne l'omosessualità e alla castrazione.
Per alcuni omosessuali, la salvezza giunge attraverso lavori amministrativi o di chiesa, mentre altri cercano di sopravvivere elargendo favori sessuali ai "Kapò" in cambio di protezione - anche se corrono sempre il rischio di essere scoperti dalle guardie e sono sempre sottoposti ai mutevoli capricci dei loro protettori, che quando si stancano di loro li mandano a morte per scegliere altri favoriti.

Le categorie degli omosessuali secondo il nazismo

Insieme a testimoni di Geova e prigionieri politici, gli omosessuali sono i prigionieri ritenuti rieducabili attraverso il lavoro nei campi di concentramento: i nazisti credono infatti che, se non tutti, molti possano essere indotti a mutare inclinazione. Pertanto, i gay sono distinti in due categorie separate: gli irriducibili e gli occasionali. Lo sterminio può in teoria colpire solo la prima categoria, comunque irrecuperabile, mentre gli omosessuali occasionali devono lavorare ed essere "guariti" anche con l’obbligo a frequentare prigioniere di bordello (e di essere spiati da fessure nelle pareti per verificarne i 'progressi'), attraverso esperimenti medici volti a curarne la malattia, o con la castrazione - che secondo un decreto di Heinrich Himmler del maggio del 1939 può essere decisa anche senza consenso esplicito, dato che molti omosessuali hanno già negli anni precedenti acconsentito a sottoporsi a interventi in seguito ai quali sarebbero stati rilasciati. Gli omosessuali abituali, e i transessuali per primi, come degenerazione della razza ariana e pericolosi per la possibilità di contagiare la popolazione ritenuta sana subiscono maggiori violenze psicologiche e fisiche, da parte di medici come dalle SS e dai compagni di prigionia.



I triangoli rosa

Gli omosessuali inviati nei lager sono identificati in un primo tempo da bracciali gialli con una "A" al centro (che sta per "Arschficker", sodomita) o dalla scritta "175" e poi da uniformi contraddistinte da triangoli rosa. Nei campi di concentramento, come testimonia nella sua autobiografia il gerarca nazista Rudolf Höss (1900-1947), gli omosessuali sono o inviati in apposite baracche loro destinate (a Sachsenhausen sono isolati dagli altri prigionieri persino durante il lavoro), o mescolati agli altri internati, anche se questa soluzione viene se possibile evitata perché la devianza sessuale non si diffonda anche tra i prigionieri "sani". In entrambi i casi, la notte gli omosessuali devono dormire con le mani fuori dalle coperte e con la luce accesa, in modo che sia sempre possibile controllare che non si masturbino o non si incontrino tra di loro.

La mortalità degli omosessuali

Le vessazioni più dure e la mancanza di solidarietà dei compagni comportano negli omosessuali un tasso di suicidio e in genere di mortalità più alto che per altre categorie di detenuti e stimabile intorno al 60% - per avere un'idea comparativa, il tasso di mortalità dei prigionieri politici è circa il 41% e quello dei testimoni di Geova tocca il 35%. L'alta mortalità degli omosessuali dipende anche dalla circostanza per cui, sin dai primi mesi di governo, il nazismo ha sradicato la cultura omosessuale e le associazioni di gay e di lesbiche, impedendo il mantenimento di una coesione di gruppo. Dopo gli ebrei, il cui unico destino deciso dal nazismo è lo sterminio, gli omosessuali occupano il posto più basso della scala gerarchica dei prigionieri nei lager. Ad incrementare poi il tasso di mortalità degli omosessuali contribuiscono gli esperimenti medici; dall'osservazione del comportamento degli omosessuali costretti a frequentare prostitute, come accade a Ravensbrück, a vere e proprie torture fisiche.

I cosiddetti esperimenti

Alla categoria delle torture appartengono gli esperimenti condotti dal dottore danese Carl Vaernet che dal luglio del 1944 cerca di "curare" cavie umane gay impiantando loro ormoni di testosterone; su 40 persone operate il 13 settembre e l’8 dicembre, due muoiono subito e 11 in poche settimane. Nel suo laboratorio a Buchenwald, Vaernet conduce esperimenti sulla categoria degli incalliti (dal medico individuati nei transessuali). A dispetto delle previsioni ottimistiche del medico - leggibili anche nei rapporti da lui firmati - nell’80% dei casi le cavie umane muoiono dopo poche settimane dall’intervento chirurgico, come emerge da varie testimonianze di prigionieri, mentre il restante 20% non appare in alcun modo guarito e non sempre sopravvive, sebbene dichiari di sentirsi meglio nella speranza di essere rilasciato come promesso. Neppure sugli omosessuali sessualmente ambigui o recuperabili sul piano psicologico le cure di Vaernet hanno successo. Sempre a proposito di esperimenti, un caso a sé è costituito dalle castrazioni. Dal novembre 1942, un ordine segreto autorizza i comandanti dei campi di concentramento a ordinare la castrazione dei prigionieri anche in casi non previsti dalla legge: di fatto, viene legalizzata la castrazione forzata degli omosessuali. La castrazione degli omosessuali diviene una pratica diffusa; anche se non se ne conosce l'entità numerica è certo che i medici la preferiscono alla detenzione, ritenendola di maggiore efficacia terapeutica.

Il dibattito sull’omosessualità femminile

Di lesbismo si inizia a parlare, un po' in tutta Europa, dopo la pubblicazione di un romanzo inglese sulla storia di alcune lesbiche, "The Well of Loneliness" di Radclyffe Hall ("Il pozzo della solitudine", 1928), testo che scandalizza il perbenismo borghese più di precedenti libri che, non essendo stati censurati a differenza di questo, non avevano ricevuto altrettanta popolarità. Negli stessi anni la questione delle lesbiche interessa il parlamento tedesco. Le leggi antiomosessuali, prima e durante il nazismo, si riferiscono ai gay ma non alle lesbiche, che non subiscono una persecuzione sistematica, nonostante alcuni nazisti a partire dal giurista Rudolf Klare desiderino che il codice penale condanni nello specifico anche il lesbismo, nel timore che donne omosessuali seducano donne eterosessuali - e difatti la questione se inserire o meno il lesbismo nel paragrafo 175 continua ad essere dibattuta sino all’inizio della guerra. Tuttavia, di principio l'omosessualità femminile non è considerata una minaccia sociale o sessuale sia perché non è organizzata, sia soprattutto perché non entra in contraddizione, a differenza dell'omofilia maschile, con la procreazione che è nell'ideologia nazionalsocialista il vero scopo della famiglia - la penalizzazione dell'omosessualità, dice nel 1934 la Commissione per la riforma del Codice Penale, serve a preservare la fertilità e quindi non tocca le donne che sono sempre in grado di procreare.

Il ruolo della donna, e in particolare della donna ariana, è infatti quello di badare alla casa e a crescere i figli, e anche le lesbiche possono farlo senza essere perseguitate, purché la loro condotta non sia scandalosa. Anche in ambito sessuale, la donna è 'per natura' sottomessa all’uomo e la morale non prevede né forme di emancipazione, né scelte libere - incluso il lesbismo. Per sfuggire la persecuzione della diversità e dell'autonomia femminile in campo anche sessuale, non poche donne ricorrono a matrimoni di comodo con eterosessuali o con omosessuali e conducono una doppia vita. Dal punto di vista nazista, le lesbiche sono meno numerose dei gay, in genere più discrete (si afferma anche che il vizio omosessuale non inficia il loro cervello, come invece accade agli uomini), non mettono in pericolo la purezza del sangue germanico quanto il comportamento immorale degli omosessuali uomini.

OSCAR WILDE



"I turned half way around and saw Dorian Gray for the first time. I knew that I had come face to face with someone whose mere personality was so fascinating that, if I allowed it to do so, it would absorb my whole nature, my whole soul, my very art itself". During the Victorian era, this was a dangerous quote. The Victorian era was about progress. It was an attempt aimed at cleaning up the society and setting a moral standard. The Victorian era was a time of relative peace and economic stability. Victorians did not want anything "unclean" or "unacceptable" to interfere with their idea of perfection. Therefore, this quote, taken from Oscar Wilde's The Picture of Dorian Gray, brimming with homosexual undertones, was considered inappropriate. Due to the time period's standards, Oscar Wilde was forced to hide behind a thin layer of inference and parallel. Wilde was obsessed with the perfect image. Although he dressed more flamboyantly than the contemporary dress, it was to create an image of himself. Wilde was terrified of revealing his homosexuality because he knew that he would be alienated and ostracized from the society. Through his works, Oscar Wilde implicitly reflected his homosexual lifestyle because he feared the repercussions from the conservative Victorian era in which he lived.
Oscar Wilde was born in 1854 and led a normal childhood. After high school, Wilde attended Oxford College and received a B.A. in 1878. During this time, he wrote Vera and The Importance of Being Earnest. In addition, "for two years Wilde had dressed in outlandish outfits, courted famous people and built his public image". Doing so earned Wilde a job with Richard D' Oyly, a producer. His task was to advertise opera in America. While in America, Wilde not only found a producer for Vera, but also wrote The Duchess of Padua for the American actress, Mary Anderson.
Upon his return to England in 1883, Wilde began lecturing on his experiences in America. This is how he came to meet Constance Lloyd, whom he later married on May 29, 1884. The couple had two children together. However, the marriage began to have problems after Wilde met Robert Ross, which "began his involvement in the disordered, destructive homosexual lifestyle so luridly suggested in The Picture of Dorian Gray and catalogued in his sensational trials". Robert Ross forced Wilde to confront the homosexual tendencies that he had been trying desperately to suppress. A whole new world opened for Wilde, and his only resource in which to channel this new energy was through his literary works.
In 1888, Oscar Wilde published a set of fairy tales, The Happy Prince and Other Tales and The Young King. These stories, "revealed another approach to moral situations and human relationships". The fairy tales were perhaps the first time Wilde introduced homosexual undertones into his works. For example, in the story The Happy Prince, a male bird and a statue of a Prince fall in love. Although it could be argued that the love between the Prince and the bird was only that of friends, most likely Wilde is expressing his own feelings of homosexuality through the bird and the Prince's relationship. For example, when the bird is preparing to leave for Egypt, the Prince says to him, "you must kiss me on the lips, for I love you". It appears that the bird and the Prince have a relationship more sexual than friendship alone.
Wilde's "insidious" undertones appear yet again in the story of The Selfish Giant. In the story, "he (the Giant) had been to visit his friend, the Cornish ogre, and had stayed with him for seven years. After seven years were over, he had said all that he had to say, for his conversation was limited, and he determined to return to his own castle". The fact that the ogre and the Giant were living together for seven years sounds like a romantic relationship, which ends when the two lose interest in each other. Perhaps this is a parallel between Wilde and Robert Ross' relationship. When Robert Ross stayed with Wilde, he began Wilde's homosexual affair, forcing Wilde to face the homosexual tendencies he so desperately tried to suppress. Therefore, the Giant is symbolic of Ross; the ogre is symbolic of Wilde.
Wilde had been able to pour some of his homosexuality into these stories, but he was left unsatisfied. He still yearned to tell the world his dark secret. However, he knew that the repercussions would be unbearable. For this reason, Wilde began to write his novel, The Picture of Dorian Gray, which discreetly expressed the homosexuality he was struggling to hide. Bu writing this novel, Wilde would be able to live vicariously through the characters, who were undoubtedly structured to resemble fragments of Wilde's inner self. As Wilde explained, "Basil Hallward is what I think I am: Lord Henry what the world thinks of me: Dorian what I would like to be- in other ages perhaps". Wilde went on later to say that Hallward represents suffering and a sacrificed artist; Lord Henry symbolizes a mature philosopher and wit; Dorian is equivalent to a youthful aesthete-about-town, all aspects of Wilde's own self.
Before one reads The Picture of Dorian Gray, he or she should know about Bosie, Wilde's long time boyfriend. Although The Picture of Dorian Gray first appeared in 1890 in Lippincott's Monthly Magazine, it forged on to become a self-fulfilling prophecy. Even though the novel was published before Wilde met Bosie, knowing about the two is crucial to understanding the parallel between the novel and Wilde's own life.
In 1891, Wilde met Alfred "Bosie" Douglas, son of the Marquis of Queensberry, for the first time. Bosie's good looks and boyish charms captivated Wilde and forced him yet again to give into the homosexual temptations he felt. Bosie had a lust for a more dangerous living and seduced Wilde to make use of the call boys that Bosie himself enjoyed. This began the gradual decline of Wilde's career, marriage and personal life.
The year 1895 brought forth the crippling blow to Wilde's life. The Marquis discovered the affair that Bosie was having with Wilde, and stormed into Wilde's club, leaving a card that read, "To Oscar Wilde posing sodomite [sic]". Bosie hated his father and therefore used his influence over Wilde to convince him to sue the Marquis for libel. Oscar didn't stand a chance. The Marquis hired the best lawyers money could buy and used Wilde's homosexuality, which was illegal at the time, against him. Wilde was sentenced to two years hard labour. This torturous relationship between Bosie and Wilde is reflected superbly in Wilde's The Picture of Dorian Gray.
The novel is about Dorian, who wishes that the painting his friend Basil Hallward paints of him will age instead of himself. Dorian's wish is granted and he maintains his youthful beauty for years to come, while the painting bears the burden of age. However, the painting takes on a deeper meaning because it becomes a manifestation of his conscience. Each sin Dorian commits causes the painting to grow more and more grotesque. Perhaps Dorian would not have become so evil if not for the corruptive influence of his friend, Lord Henry. Lord Henry convinces Dorian to live his life with the main objective to please his senses and give no thought to moral consequences. It was even Lord Henry's influence that inspired Dorian to make the wish in the first place because Henry suggested that the most important thing in life was physical beauty, which is almost always diminished with age. This represents Wilde's own struggle to choose between either a socially accepted lifestyle or the supposedly wrong lifestyle of homosexuality.
As soon as the reader opens the book, he/she is struck by the intense love that Basil feels for Dorian. Basil explains, "I couldn't be happy if I didn't see him every day. He is absolutely necessary to me". This was the same feeling that Wilde felt for Bosie. Bosie had the same hold on Wilde that Dorian had on Basil. Dorian ends up destroying Basil's talent of art in the same way that Bosie ruins Wilde's talent of writing. After Dorian discards Basil, Basil can no longer paint masterpieces. Similarly, as soon as Wilde goes to jail and is separated from Bosie, his writing suffered greatly.
Before Dorian makes the wish for the painting to bear the burden of aging and his sins, he represents innocence. His innocence is ultimately corrupted by Lord Henry's evil influence. Because Dorian falls in love with Henry, his actions are totally controlled by Henry's decadent influence. In this instance, Lord Henry represents Bosie, and Dorian represents Wilde. Wilde was relatively innocent before being introduced to the corruptive seduction of Bosie's nature. After the two met, Wilde's life and conscience were utterly destroyed by Bosie in the same way that Lord Henry destroyed Dorian's life. Bosie seduced Wilde into a crazy style of living in the same way as Lord Henry convinced Dorian to abandon all moral consideration.
As the story continues, the character's symbolism interchanges yet again. Dorian falls in love with an actress, Sibyl Vane. However, Dorian loves Sibyl for the characters she brings to life, and not for the person that she is. To Dorian, "Sibyl escapes time; she is full of mystery, sacred. She is all the great heroines, never an individual". Once Dorian promises Sibyl that he will marry her, he steals from her the only talent that she possessed. Sibyl does not mind the loss. She explains,
“Before I knew you, acting was the only one reality in my life. I thought it was all true. You freed my soul from prison. You taught me what reality is. You made me understand what love really is.".
However, since Dorian never truly loved Sibyl for the person she was, he was outraged by her loss of talent and called off the marriage. To Dorian, Sibyl was merely a collectible in the same way that Wilde's wife, Constance, was to him. In other words, Constance was merely another mask to hide Wilde's homosexuality. Dorian not only stole from Sibyl her defining talent, but also her will to live after he selfishly cast her aside after learning she would no longer be able to act if they were together. Bosie did the same thing to Wilde, stealing from him his talent to write, and then leaving him to rot in a cell.
Once Dorian realizes that the painting will bear the affects of his sins, he lives his life carelessly. He follows Lord Henry's theory of pleasure over morals, and lives his life with no consideration to the consequences of his actions. He manages to drive a girl to suicide, destroy the life of the girl's brother because his sister meant everything to him, and even to kill the only person who truly loved him, Basil. Similarly, Wilde estranged his wife and family and breaks the law for mere physical pleasure. In the end, Dorian is so disgusted with his painting, and therefore his soul, he attempts to destroy it by ripping the picture with a knife. Later that day, Dorian is found dead next to a painting of his former beauty while his body is old and decrepit. Dorian kills his conscience; thus he kills himself.
By the end of the novel, despite all of the torture Dorian has endured, Lord Henry remains unchanged. He expresses no remorse in having corrupted the purity that once existed in Dorian, and having destroyed his life. In Wilde's own life, Bosie also remained unchanged. He too never felt ashamed or sorrowful of the corruption of Wilde that he promoted. Dorian dies a bitter man, and this is perhaps the same way Wilde felt at the end of his lifetime. The novel acted as a window to allow the reader into Wilde's life, and be able to discover the hidden homosexuality and tragedy of his life.
When the novel was first introduced into the conservative Victorian society, it was referred to as "mawkish and nauseous," "unclean," "effeminate" and "contaminating". This was because "the homosexual undertones of Wilde's development of his plot roused a critical corruption". The people of this time period were not ready for this type of controversy. However, "those who rage and howl suffer from seeing their own savage faces reflected in their artist's creation". In other words, the society did not like this book because it forced them to look inside themselves and face the imperfections that the Victorian era was struggling to conceal. This got in the way of the Victorian society's image of perfection.
The people of the Victorian era were simply not ready to confront the fact that there were ideas and concepts out there that did not adhere to their image of perfection, but could not be ignored. Wilde's novel was conducive to change. It brought to light a revelation the Victorian society was trying to avoid. Wilde should have pressed this point more in his novel, however he lacked the courage that was necessary. As James Joyce pointed out in a letter to his brother, Wilde's literary flaw was that, "Wilde seems to have good intentions in writing it- some wish to put himself before the world- but the book is rather crowded with lies and epigrams. If he had the courage to develop the allusions in the book it might have been better". In other words, Wilde feared self- revelation. He knew that he was attempting to convey in his novel; therefore, he provided only minimal undertones of his feelings. Had he had the courage to display in full what he struggled so hard to disguise with symbolism and epigrams, the novel probably would have reached worldwide controversy, which is what makes a story a classic.
During his trials, Wilde's own homosexual undertones in his writings, particularly in his novel, were used against him and helped send him to jail. While in his cell, Wilde devoted much of his time to self- examination, and thus wrote a letter to Bosie, De Profundis, explaining why Wilde could never again see Bosie. Due to the torturous love affair between Bosie and Wilde, Oscar's writing had taken a turn for the worse. However, this was Wilde's saving grace. The letter was one of Wilde's most moving writings, and it was the first time Wilde expressed his shame and remorse. A friend of Wilde's, R.B. Cunninghame Graham, explained, "All through the book there is a vein of tenderness, not that false tenderness which sorrow sometimes gives, but real and innate. The love of flowers, of children, of the trees, the sun and moon and stars in their courses, call to us from this crying voice, for pardon". According to Bosie, "he, a youthful innocent was debauched by the worldly-wise, thirty-eight year old playwright". However, Wilde mainly blames homosexuality for his suffering, rather than Bosie and his actions by saying, "she (mother) and my father had bequeathed me a name they had made noble and honored. I had disgraced that name eternally". Wilde greatly regretted the shame he had brought to himself and his family and made a vow never to see Bosie again.
However, "Oscar was unable to resist temptation and Bosie were reunited with disastrous consequences". During the time the two spent together, "Wilde was plagued by financial worries, his relationship with Douglas (Bosie), went through a series of death throes interspersed with short periods of ecstatic reunion, he became paranoid about his friend's loyalty". Wilde's life went downhill and "for Wilde, final consolations lay not in art, but in alcohol, boys and- on his deathbed in a seedy hotel room in 1900- the Roman Catholic Church". Wilde's life had a tragic ending similar to that of his title character in The Picture of Dorian Gray. He died alone and bitter, wishing he could change the past and amend the mistakes he made. It is almost scary how much of a self-fulfilling prophesy Wilde's novel became.
Wilde was an extraordinary writer who used his homosexuality as leverage to take his writing to a higher level. This is something a good author will do, take something within himself or herself and use it to give meaning to their writing. His fear of self- revelation forced him to find other resources to channel his homosexuality into, and he chose his writing. He was ahead of his time in the aspect that he challenged the society that he lived in to explore regions of themselves that they were trying to hide. His life was a tragedy in the sense that he was persecuted for revealing his true life and living the life that he felt was right for him. The Victorian era was relentless in making him ashamed of the way he was born, forcing him to hide who he was, when he was, in fact, an amazing individual who cleared a path for others to follow, to admit to themselves and their community the people they are and live the way they wish to live.

ANDY WARHOL E LA SILVER FACTORY



Fondamentalmente per trovare un legame tra la figura di Andy Warhol e il tema dell’omosessualità, e comprenderne ovviamente i tratti caratteristici fondamentali, bisogna innanzitutto inserire la sua figura nel contesto storico dell’epoca.
Andy Warhol nasce da una famiglia di immigrati Europei nella città di Pittsburg, negli USA, all’alba degli anni trenta anche se non si hanno notizie certe sulla data della sua nascita, così come l’intera figura di Warhol rimane per certi aspetti avvolta da dubbi e incertezze.
Quando inizia la sua carriera d’artista, messa da parte l’esperienza lavorativa come pubblicitario, siamo ormai negli anni cinquanta e l’America sta vivendo quel periodo di boom economico che era iniziato all’indomani della fine del conflitto mondiale e che si sviluppava a seguito della divisione del mondo in due blocchi ben definiti, uno dei quali era appunto capeggiato dal colosso americano. Gli USA erano diventati il centro del mondo, della prosperità e del progresso, nonché la terra dove tutto era possibile per chiunque. La società americana andava forgiandosi quindi come una vera e propria società multiculturale di massa, fomentata dalla diffusione dei mezzi comunicativi come televisione, cinema e soprattutto pubblicità, che aveva fondamentalmente lo scopo di innalzare a modello sul globo intero quel che era l’America.
Andy Warhol ha principalmente il merito di aver intuito per primo che la figura dell’artista andava in tutt’altra direzione rispetto alle radici classiche dell’Europa e la società che si apprestava a governare il mondo non aveva nulla a che spartire con il background storico del vecchio continente. Con questa consapevolezza, ma senza alcuno spirito di contestazione, Warhol sceglie soggetti capaci di muovere le masse, senza creare alcun problema di comprensione allo spettatore in quanto la scelta ricade su personaggi o oggetti di uso comune che non esaltano nessun simbolismo, ma hanno il compito, se così si può dire, di celebrare l’immagine che l’America esporta nel mondo. Ecco spiegati i barattoli di zuppa ripresi anche 200 volte, il volto della Monroe, Elvis, e le banconote da 1 dollaro.
In sostanza, lo scopo della Popular Art era propriamente quello del commercio. L’arte non esiste, e quello che noi intendiamo per arte non ha che l’obiettivo di produrre denaro. Cosa in cui Warhol è riuscito alla perfezione.
Per capire comunque come si inserisca l’opera di Warhol in un contesto legato all’omosessualità non bisogna rifarsi al personaggio stesso, a quanto pare timido, introverso e silenzioso, ma alla cerchia di artisti che tra gli anni 60 e 70 popolavano il loft dalle pareti argentate che “il genio” aveva adibito a studio personale. La sede della Factory, come lo stesso Warhol aveva scelto di chiamare il gruppo che ne faceva parte, era principalmente un luogo di ritrovo e di lavoro dove le menti più attive del periodo collaboravano con Warhol alla pianificazione, allo studio e alla realizzazione delle opere, ma non è un segreto che l’appartamento in Manhattan non fosse solo questo.
La Silver Factory, l'ampio locale ubicato al quarto piano di un ex fabbrica di cappelli sulla 47° strada, è stato il più noto studio laboratorio di Warhol, teatro di molti progetti artistici tra il 1963 e il 1968, ma allo stesso tempo è stato la casa dell’estremo. E forse guardando l’operato di Warhol non viene difficile crederlo. Il confine tra quella che era l’espressione artistica e il baratro della perdizione non è mai stato più labile: numerose autobiografie di personaggi che bazzicavano nella Factory ci assicurano che la vita si svolgeva tra serigrafie, droghe, incontri gay/lesbo e drag queen, tanto per citare i punti salienti dalla congrega. Ma non deve essere affatto naturale il collegamento tra la Factory e la depravazione, perché quantomeno nell’ideologia di partenza e nei risultati, il gruppo di Warhol aveva le idee ben chiare per opporsi, o forse solo distinguersi dalla massa (gli stessi acquirenti delle opere Pop, tra l’altro). La Factory è fondamentalmente uno spazio ideologico dove molte nozioni sulla pop art si trasformano in stile di vita. Il gruppo forma un nucleo che stabilisce un linguaggio comune, uno stile comune che basa i propri principi sull'accettazione di qualsiasi comportamento, senza pretendere di giudicarlo.
Tra le esperienze vissute e raccontate, forse quella che più merita attenzione è quella di una delle ragazze ispiratrici del Warhol regista, protagonista di alcune delle sue opere. Quella che racconta Mary Woronov nella sua autobiografia è realmente una vita di confine, all’insegna del genio e della sregolatezza, certo, ma con la sregolatezza che forse tende ad eccedere sulla genialità. II libro infatti non risolve l’enigma Warhol, anzi lo complica. Ce lo mostra timidissimo, dislessico: gli adepti lo chiamano Drella, che è una fusione tra Dracula e Cindarella, ad evidenziare la doppia anima del personaggio, che da un lato succhia energia a tutti, dall’altro piagnucola come un bambino di undici anni.
Poi ci sono Lou Reed, John Cale, Nico, ovvero i Velvet Underground, uno dei gruppi cult del rock americano, che Andy Warhol prende sotto la sua ala protettrice, portandoli in giro a fare concerti mentre Mary Woronov e gli altri membri della factory improvvisano performance psichedeliche. E poi artisti, giovani modelle, e soprattutto le drag queen, che sono uno dei prodotti più durevoli della Factory. Le drag queen, i travestiti che sognano di essere vere donne di spettacolo che cercano per la prima volta la vistosità, l’eccesso anche estetico, la provocazione ad oltranza di un’omosessualità clamorosamente esibita.
Mary Woronov ha vissuto la fase eroica della Factory, quando non c’era neppure bisogno di avere una casa, perché nelle notti newyorkesi si passava da un party all’altro, imbottiti di anfetamine, di rock, di sesso libero, di fantasie artistiche.
Per riassumere, la Factory la guida Andy, il Frankenstein che crea star in laboratorio, con investimenti modesti e "pezzi di carne" (così chiama le sue star alla deriva). Per lui sono "beautiful people", l’America li guarda con disprezzo e li definisce "freak", mostri. Tossici omosessuali, travestiti, aspiranti modelli, cantanti, attori, registi, pittori, scrittori. La Factory diventa un luogo d’incontro per tutto quello che è rinnegato dalla società ma che, alla fine dei conti, incassa il denaro di una massa imbambolata davanti alla riproduzione – adeguatamente modificata – di una latta di zuppa di pomodoro.


FILMOGRAFIA



VINYL

Non tutti sanno che «Vinyl» (1965) di Andy Warhol è la prima versione del romanzo «Arancia meccanica» di Anthony Burgess: una parabola agghiacciante su violenza e società, ma anche la celebrazione di un’iconografia gay, sado-maso e decadente. Il tutto in solo quattro interminabili piani-sequenza, dove le azioni si svolgono su piani diversi. Sullo stesso dvd c’è anche «The Velvet Underground & Nico» (1966), un’ora di jam session di Lou Reed, John Cale e soci, dove il regista zoomma come un ossesso. Paradossalmente, la star Nico non canta: centro vuoto dello spettacolo, in linea con l'estetica del padre della pop art. Dvd esemplare, con un utilissimo libretto, dove Aprà e Di Vanni mostrano la ricchezza di immagini in apparenze opache e indecifrabili. Con una raccolta di testimonianze d’epoca davvero accurata.

LONESOME COWBOY

Assoluto inedito in Italia. In una città del west, una strana banda di malviventi intreccia rapporti di sesso e di violenza. I nomi dei personaggi, Ramona e Julian, parodizzano quelli di Romeo e Giulietta.


CHELSEA GIRL

Le vite che vediamo in questo film sono piene di disperazione, durezza e terrore. È per ognuno da vedere e meditare. Ogni opera d’arte ci aiuta a capire noi stessi, descrivendoci quegli aspetti delle nostre vite che noi o conosciamo poco o temiamo. È tutto lì nero su bianco davanti ai nostri occhi: questa banda di creature disperate, la parte disperata del nostro essere, l’avanguardia del nostro essere. E una delle cose sorprendenti di questo film è che le persone non sono attori professionisti, e capire se recitano la loro interpretazione diventa irrilevante. Diventa parte delle loro personalità e lì sono loro, totalmente reali, con i loro esseri trasformati ed accentuati.


PAUL VERLAINE et ARTUR RIMBAUD






Cronologie




-1844-

Le 30 mars, naissance de Paul Verlaine à Metz. Son père est capitaine dans l'armée.

-1854-

Le 20 octobre, naissance d'Arthur Rimbaud à Charleville. Son père est aussi capitaine dans l'armée.

-1863-

Verlaine s'inscrit à la faculté de droit. Il publie sa première oeuvre, Monsieur Prudhomme, sous le pseudonyme de Pablo.

- 1866-

Verlaine publie Les Poèmes saturniens.

- 1869-

Mars. Verlaine publie Les Fêtes galantes. "J'ai les Fêtes galantes de Paul Verlaine. C'est fort bizarre, très drôle, mais vraiment c'est adorable." (Lettre de Rimbaud à son professeur lzambard. 1870). Juillet. Verlaine, dans un moment d'ivresse, tente de tuer sa mère.

- 1870-

Juin. Verlaine publie La Bonne Chanson. 11 août. Mariage de Verlaine avec Mathilde Mauté de Fleurville.
29 août. Première fugue de Rimbaud. Georges Izambard, son professeur de rhétorique, va le chercher à Douai et le reconduit à Charleville.
7 octobre. Seconde fugue, à pied, par Charleroi et Bruxelles. Rimbaud écrit en chemin La Matine, Au cabaret vert, Ma bohème. Il est reconduit chez sa mère par la gendarmerie.

- 1871-

Rimbaud écrit Le Bateau ivre, Ce qu'on dit au poète à propos des fleurs. Verlaine prend parti pour la Commune. Fusillades dans Paris.
10 septembre. Arrivée de Rimbaud chez Verlaine.

- 1872-

Verlaine brutalise sa femme. Il ne quitte plus Rimbaud.
Juillet Verlaine et Rimbaud partent à Bruxelles.
Septembre Verlaine et Rimbaud vivent ensemble à Londres.
Décembre Rimbaud rentre à Charleville.

- 1873-

Verlaine écrit les Romances sans paroles.
27 mai. Retour de Rimbaud à Londres. Il va commencer la rédaction d'Une Saison en enfer.
Juillet Verlaine et Rimbaud sont à Bruxelles. Le 10, Verlaine tire deux coups de revolver sur Rimbaud. Il est arrêté et emprisonné

- 1875-

Verlaine sort de prison. Il est devenu très croyant et part vivre en Angleterre.

- 1876-

Rimbaud s'engage dans l'armée hollandaise, puis déserte.

- 1880-

Rimbaud est à Chypre puis à Aden.
Décembre, Verlaine publie Sagesse. Rimbaud se lance dans le commerce et les explorations au Harar. Jusqu'en 1890.

- 1883-

Verlaine publie Les Poètes maudits.

- 1886-

Verlaine fait de fréquents séjours à l'hôpital. Les Illuminations de Rimbaud paraissent sans qu'il le sache. Verlaine écrit une biographie de Rimbaud.

- 1891-

10 novembre, Rimbaud meurt à Marseille.

- 1896-

Verlaine meurt d'une congestion cérébrale, dans une profonde misère.



Dans la France des années 1870, l'amour entre hommes n'est pas punissable, mais il demeure sujet à railleries et honte sociale. Ainsi en témoigne la relation tumultueuse entre les poètes Paul Verlaine (1844-1896) et Arthur Rimbaud (1854-1891). Après avoir reçu quelques poèmes et une lettre du jeune prodige de Charleville, ébloui par le génie de son cadet, Verlaine invite Rimbaud à Paris. Il tombe aussitôt amoureux de l'adolescent et abandonne femme et enfants. Sortant ensemble dans les théâtres parisiens, le couple sera vite l'objet de ragots. Dès 1872, les deux amants errent à travers l'Europe, entre Londres et Bruxelles. S'ensuit leur période de création la plus intense. Rimbaud laisse éclater sa passion pour son aîné: "Je suis à lui chaque fois / Si chante son coq gaulois". A noter que l'écrasante majorité des éditions ont délibérément ôté le caractère érotique de ce vers, en imprimant: "Salut à lui, chaque fois / Que chante le coq gaulois."

Dans Une saison en enfer, le seul texte publié par Rimbaud de son vivant, écrit juste après l'incident de Bruxelles pendant l'été 1873, où Verlaine, dans un moment d'ivresse, tire deux coups de feu sur son ami, Rimbaud relate les tumultes de leur relation. Verlaine est "l'époux infernal" et lui-même se représente sous les traits de "la vierge folle".



Arthur Rimbaud



Una saison en enfer – La vierge folle, l’époux infernal



Écoutons, la confession d'un compagnon d'enfer :
"Ô divin Époux, mon Seigneur, ne refusez pas la confession de la plus triste de vos servantes. Je suis perdue. Je suis soûle. Je suis impure. Quelle vie !
"Pardon, divin Seigneur, pardon ! Ah ! pardon ! Que de larmes ! Et que de larmes encor plus tard, j'espère !
"Plus tard, je connaîtrai le divin Époux ! Je suis née soumise à Lui. — L'autre peut me battre maintenant !
"À présent, je suis au fond du monde ! Ô mes amies !... non, pas mes amies... Jamais délires ni tortures semblables... Est-ce bête !
"Ah ! je souffre, je crie. Je souffre vraiment. Tout pourtant m'est permis, chargée du mépris des plus méprisables cœurs.
"Enfin, faisons cette confidence, quitte à la répéter vingt autres fois, — aussi morne, aussi insignifiante !
"Je suis esclave de l'Époux infernal, celui qui a perdu les vierges folles. C'est bien ce démon-là. Ce n'est pas un spectre, ce n'est pas un fantôme. Mais moi qui ai perdu la sagesse, qui suis damnée et morte au monde, — on ne me tuera pas ! — Comment vous le décrire ! Je ne sais même plus parler. Je suis en deuil, je pleure, j'ai peur. Un peu de fraîcheur, Seigneur, si vous voulez, si vous voulez bien !
" Je suis veuve... — J'étais veuve... — mais oui, j'ai été bien sérieuse jadis, et je ne suis pas née pour devenir squelette !... — Lui était presque un enfant... Ses délicatesses mystérieuses m'avaient séduite. J'ai oublié tout mon devoir humain pour le suivre. Quelle vie ! La vraie vie est absente. Nous ne sommes pas au monde. Je vais où il va, il le faut. Et souvent il s'emporte contre moi, moi, la pauvre âme. Le Démon ! — C'est un Démon, vous savez, ce n'est pas un homme.
[…]
Drôle de ménage !


Commentaire

1) la figure du narrateur
Le texte s'ouvre sur une annonce du narrateur : "Écoutons la confession d'un compagnon d'enfer". La première personne du pluriel englobe le destinataire du texte (le lecteur) et le narrateur. Le choix du verbe (écouter) suggère d'ailleurs plutôt un auditoire qu'un lectorat, comme si nous étions dans un cadre de communication orale : une représentation théâtrale, une soirée de contes. Comme le montrent les deux points et les guillemets qui ponctuent la fin de la phrase, ce narrateur laisse aussitôt la place au personnage qu'il vient d'annoncer, mais il fera une nouvelle brève apparition à la dernière phrase du chapitre pour commenter l'histoire racontée d'un ironique : "Drôle de ménage!". Ce meneur de jeu est bien entendu une représentation de l'auteur lui-même. Donner une certaine consistance à cette figure du narrateur permet à Rimbaud de matérialiser sous la forme d'un quasi-personnage l'attitude ironique, la distance qui sont les siennes, au moment où il entreprend la relation rétrospective de son enfer et où il tente d'en trouver l'issue.

2) de quel "enfer" s'agit-il?
La parole est donnée à un "compagnon d'enfer". Il est traditionnel de reconnaître dans ce "compagnon d'enfer" le poète Paul Verlaine, qui fut le compagnon de vie d'Arthur Rimbaud entre septembre 1871 et juillet 1873. Suivons sur ce point l'analyse de Suzanne Bernard dans son édition Rimbaud des Classiques Garnier (1961) : "Il ne fait de doute pour personne à l'heure actuelle que la vierge folle est Verlaine, et que l'époux infernal n'est autre que Rimbaud, qui est ainsi présenté par lui-même tel qu'il apparaissait à Verlaine. Ce serait nier l'évidence que de ne pas reconnaître le faible époux de Mathilde dans des phrases aussi claires que : "Je suis veuve ... J'étais veuve ... Lui était presque un enfant ... J'ai oublié tout mon devoir humain pour le suivre"". Toute l’analyse du texte confirmera cette intuition de départ. Et en premier lieu, la nature de l'enfer.
Dans le chapitre qui précède immédiatement celui-ci dans la Saison : Nuit de l'enfer, le narrateur se décrivait soumis aux brûlures d'un poison et aux flammes de l'enfer. C'est donc dans cette géhenne, figurée comme dans l'imagerie chrétienne, que le narrateur a eu pour compagnon celui qui va maintenant s'exprimer. Conformément à cette imagerie, nous trouvons au cinquième alinéa l'idée d'un lieu situé "au fond du monde", en bas, où les damnés sont soumis à des "tortures". Spécialement celles du feu ("Un peu de fraîcheur, Seigneur..."). La syntaxe heurtée du monologue attribué au "compagnon d'enfer" mime une souffrance allant jusqu'à la folie : plaintes, cris, ponctués de points d'exclamation; phrases inachevées, ponctuées de points de suspension, bien souvent incohérentes, au moins à première lecture... Cette élaboration dramatique de la parole du damné rappelle étroitement le style du chapitre Nuit de l'enfer.
Cependant, l'enfer n'est ici qu'une métaphore. Dès ce début de texte, certains indices montrent que l'enfer dont il est question est avant tout l'enfer moral vécu par des vivants et non celui où séjournent les morts. Le (ou la) protagoniste dit par exemple à l'alinéa 3 : "Que de larmes ! Et que de larmes encore plus tard j'espère". La damnée (Verlaine, selon l’hypothèse) chérit son malheur, elle préfère encore pleurer que perdre celui qu'elle aime et qui la torture. À l'alinéa 6, nous trouvons aussi cette formule : "Tout pourtant m'est permis, chargée du mépris des plus misérables cœurs". Probablement faut-il comprendre : "bien que chargée du mépris des plus misérables cœurs (étant une "vierge folle", une fille "perdue"), tout m'est permis". C'est à dire : je ne suis pas vraiment prisonnière de mon Satan, rien ne m'empêche de réagir, de dire non, de le quitter, preuve que l'enfer dont il est question ici n'est qu'un enfer moral. Plus loin dans le texte, la prétendue "damnée" exprime à deux reprises sa peur de la mort : "on ne me tuera pas!" (alinéa 8); "je ne suis pas née pour devenir squelette" (alinéa 9). L'obsession de la mort est sans doute une manifestation du désarroi vécu par Verlaine au cours de la crise morale qu'il vient de traverser dans la dernière période de sa vie commune avec Rimbaud. En tout cas, elle prouve que l'énonciatrice du monologue est une personne bien vivante. De telles formules seraient incompréhensibles dans un récit mettant en scène de véritables "damnés", au sens chrétien du terme.
Rimbaud joue donc sur la double signification du mot "enfer". Premier sens : lieu de damnation éternelle pour les morts condamnés par Dieu, au moment du jugement dernier, notion chrétienne dont la parabole biblique des "vierges folles" est l'illustration. Deuxième sens : au figuré, hyperbole courante pour désigner une situation pénible, une grave crise morale. Cette crise est celle de l'amitié amoureuse qui a réuni les deux poètes plusieurs années durant. Les états d'âme décrits par le texte sont ceux de Verlaine pendant cette période, surtout la fin de cette période, où les difficultés de la relation entre les deux poètes se sont exacerbées. L'enfer de la Saison est moins le résultat de cette crise, l'état de déréliction et de mort morale des deux amants après leur séparation (comme certains commentaires le laissent parfois croire) que la crise elle-même, avec les souffrances qui l'ont accompagnée.

3) La féminisation du "compagnon d'enfer"
Le "compagnon d'enfer" annoncé par la première phrase du texte se transforme dès la seconde en un personnage féminin. L'apparente incohérence a évidemment pour fonction d'alerter le lecteur sur la présence d'un sens caché : cette "servante" du "Seigneur" dissimule un homme. Le narrateur aurait pu en effet annoncer dès le début une Vierge folle, une compagne d'enfer : l'incohérence aurait été évitée, mais le sens caché aurait été plus difficile à déceler.
Pourquoi avoir masqué Verlaine derrière un personnage féminin? Sans doute avec deux objectifs : forcer le trait de la satire religieuse, créer une équivoque sexuelle.
Le dialogue de la "Vierge folle" avec le "divin Époux" constitue une imitation du Cantique des cantiques et autres poèmes érotico-mystiques où la créature humaine, l'âme humaine, est représentée par le partenaire féminin du couple, l'Amante, et où l'Amant représente Dieu. Mais l'imitation est ici parodie : le langage de la "Vierge folle" mime de façon quelque peu hyperbolique et ridicule la rhétorique traditionnelle de l'acte de contrition, le misérable pécheur qui bat sa coulpe ("Je suis perdue ... Je suis impure ... Pardon ! ... Ah pardon !"), et qui s'humilie devant "son Seigneur" ("servante", "soumise", "esclave"). L'opposition qui fait son apparition au quatrième alinéa entre les deux Époux, le divin et "l'autre", celui que le titre appelle "l'Époux infernal", contient une probable allusion biographique à la bigoterie indéracinable de Verlaine : "Plus tard je connaîtrai le divin Époux! Je suis née soumise à lui. L'autre peut me battre maintenant." La phrase est à continuer : il peut me battre mais il ne pourra pas m'arracher à mon véritable seigneur et maître. L'histoire littéraire a retenu l'épisode de la "conversion" de Verlaine, à la prison de Mons, où le poète fut incarcéré à la suite de sa tentative de meurtre sur la personne de Rimbaud. Conversion suivie, comme on sait, par la rédaction d'un recueil d'inspiration religieuse : Sagesse (1881). Mais Rimbaud apporte dans ce passage un témoignage qui contredit ce mythe de la conversion : il nous montre un Verlaine qui, du temps même de leur liaison (l'adverbe "maintenant" indique cette chronologie), exprimait déjà un sentiment de culpabilité pour l'immoralité de sa vie présente ("j'ai oublié tout mon devoir pour le suivre"), un sentiment tout religieux de la faute, et une nostalgie de sa respectabilité perdue ("mais oui, j'ai été bien sérieuse jadis").
Ce n'est pas non plus sans une arrière-pensée satirique que Rimbaud met dans la bouche de la Vierge folle l'expression "moi, la pauvre âme" ("Et souvent il s'emporte contre moi, moi, la pauvre âme"). Les italiques utilisés montrent que cette formule est une citation, une citation de l'Époux infernal. En effet, Rimbaud utilise fréquemment dans ses textes ce terme, féminin, emprunté au vocabulaire religieux, pour désigner Verlaine. On peut y discerner soit une moquerie à l'égard d'une sentimentalité naïve, soit une commisération exagérée et parodique.
En même temps qu'il tourne en ridicule la foi naïve de son ex-compagnon, Rimbaud rappelle, en le peignant sous les traits d'une femme, la nature homosexuelle de leur relation et suggère le rôle féminin que Verlaine tenait dans le couple. Il s'amuse manifestement des incidences textuelles de cette inversion sexuelle : Verlaine, qui se plaignait volontiers auprès de Rimbaud d'avoir été obligé de se séparer de sa femme Mathilde, devient une "veuve". Mais le malheureux damné s'embrouille dans les temps verbaux ( "Je suis veuve... ― J'étais veuve... "). C'est probablement qu'il est deux fois veuf maintenant : de Mathilde d'abord, de Rimbaud ensuite. Même hésitation apparemment sur le sexe des ami(e)s, à moins que ce ne soit sur l'opportunité de les appeler à l'aide : " O mes amies !... non, pas mes amies... " (Margaret Davies, op. cit. p. 27, propose de voir dans cette phrase une malicieuse allusion à un ensemble de poèmes verlainiens d'inspiration saphique intitulé Les Amies, publié en 1868 à Bruxelles).

4) l'allégorie de la "Vierge folle"
À partir du huitième alinéa, le "compagnon d'enfer" féminisé se voit affublé d'un nom nouveau, annoncé par le titre : "Vierge folle" ("Je suis esclave de l'Époux infernal, celui qui a perdu les vierges folles.").
Les "vierges folles" sont, dans l'Évangile selon Saint Matthieu (XXV, 1-13), une allégorie de la damnation. Elles représentent le mauvais chrétien, celui qui ne sera pas admis au paradis, parce qu'il ne s'y est pas préparé par une vie conforme aux préceptes de la morale et de la religion. Dans cette parabole, Dieu est l'Époux qui va célébrer ses noces. Dix vierges, invitées à la fête, attendent son arrivée. Cinq d'entre elles sont des "vierges sages", c'est à dire ici réfléchies, prévoyantes. Mais les cinq autres ― les "vierges folles" ―, ayant omis de se munir d'huile pour leur lampe en quantité suffisante, se voient obligées d'aller s'approvisionner pendant leur veille, manquant ainsi l'arrivée de l'Époux qui refusera de les admettre à la noce. "Veillez donc, conseille la conclusion du récit, parce que vous ne savez ni le jour, ni l'heure" (l'heure de votre mort et de votre comparution devant Dieu). En s'identifiant lui-même à la "vierge folle" de la tradition chrétienne, le "compagnon d'enfer" indique donc d'abord sa conviction d'être damné (voir plus loin : "Mais moi qui ai perdu la sagesse, qui suis damnée et morte au monde [...]").
Une seconde idée apparaît dans cette phrase, qui n'appartient pas à la référence biblique : l'asservissement des "vierges folles" à l' "Époux infernal". Rimbaud, d'après certains commentateurs (Christian Moncel, Antoine Fongaro), aurait pu trouver cette idée dans La Sorcière de Michelet. Cet auteur emploie l'expression "vierges folles" pour désigner les sorcières, ces femmes que le Moyen-âge décrivait possédées du démon, envoûtées, et parfois engrossées par Satan. Le même Antoine Fongaro rappelle que cette expression désigne parfois les prostituées dans la littérature du XIX° siècle. Ces connotations contemporaines de l'allégorie des vierges folles accentuent la valeur péjorative de l'expression, soit que Rimbaud veuille aggraver l'insulte faite à Verlaine, soit qu'il veuille au contraire critiquer chez Verlaine un absurde complexe de culpabilité hérité de son éducation chrétienne. Car il ne faut pas oublier que c'est Verlaine qui parle ici, et qui s'accuse devant Dieu d'être une sorcière, une putain.

5) présentation de l'Époux infernal.
La métaphore de la Vierge folle "esclave de l'Époux infernal" offre aussi à Rimbaud l'occasion d'un portrait de l'artiste en "Satan adolescent" (l'expression est de Verlaine dans Crimen amoris, poème de son recueil Jadis et Naguère).
Notons d'abord que la phrase : " Lui était presque un enfant... " ne laisse aucun doute sur l'identité de l'Époux infernal. Il s'agit de Rimbaud. Rimbaud a dix-sept ans lorsqu'il rencontre Verlaine pour la première fois en Juillet 1871, et tous les témoignages concordent pour décrire l'allure extrêmement juvénile de l'auteur du Bateau ivre, contrastant de façon spectaculaire avec la maturité de son génie poétique. Verlaine lui-même, dans Crimen amoris, nous a laissé de Rimbaud un portrait similaire : "Or, le plus beau d'entre tous ces mauvais anges / Avait seize ans sous sa couronne de fleurs / etc."
La Vierge folle dénonce le comportement contradictoire, incompréhensible, de son amant, oscillant en permanence entre la tendresse ("Ses délicatesses mystérieuses m'avaient séduite") et la brutalité ("Et souvent il s'emporte contre moi, moi, la pauvre âme.").
Mais surtout, elle semble lui reprocher de l'avoir entraînée avec lui hors du monde (" Nous ne sommes pas au monde"; "damnée et morte au monde"). Les commentateurs expliquent souvent ces expressions par l'idée de l'enfer : la Vierge folle n'est plus dans le monde puisqu'elle est morte et condamnée au feu éternel. Mais le contexte suggère de donner à ces phrases un sens plus riche. Sens par ailleurs confirmé par la présence de la formule : "La vraie vie est absente". Cette phrase a fait l'objet de polémiques. Elle a été traditionnellement répertoriée comme une maxime rimbaldienne typique signifiant le caractère insatisfaisant de la vie réelle. Mais, plus récemment, la critique a fait remarquer que, dans la bouche de la Vierge folle, cette phrase a exactement le sens opposé : je ne suis plus dans la vie réelle, je suis morte, je suis en enfer. Au point que Pierre Brunel, dans son édition récente à la Pochothèque, considère la lecture traditionnelle de cette phrase comme un "contresens". Nous pensons au contraire qu'il faut entendre à la fois dans cette phrase deux sens qui ne sont opposés qu'en apparence. La Vierge folle, dans le style elliptique que son amant affectionne, tient en quelque sorte le discours suivant : «Parce que l'existence commune est tellement insatisfaisante, parce que "la vraie vie est absente" (sens n°1), nous avons voulu nous absenter du monde réel (sens n°2) pour vivre dans le rêve. Mais ce monde du rêve fut pour nous proprement l'enfer. Car, pour satisfaire notre quête d'inconnu, nous dûmes avoir recours à des drogues mortelles, illusoires et cruelles.» (Ces drogues pourvoyeuses d'illusion sont ce que toute la Saison condamne : l'usage des "poisons", des "paradis artificiels" (Nuit de l'enfer), la quête de l'amour réinventé (Délires I) et le culte d'une poésie hallucinée (Délires II)).
Entraînée par l'Époux infernal - Rimbaud dans un monde de fantasmes et de fatales illusions, la Vierge folle - Verlaine semble éprouver une grande difficulté à décider si son compagnon est un homme ordinaire ou un être surnaturel. Comme le dit Pierre Brunel, "La Vierge folle a beau affirmer au début "Ce n'est pas un spectre, ce n'est pas un fantôme", la formule est trop redondante pour exprimer une véritable certitude." (op. cit. p. 266). N'affirme-t-elle pas par ailleurs à de multiples reprises qu'il est un démon : "C'est un Démon vous savez, ce n'est pas un homme"? Cette dernière affirmation, reproduite en italique, se présente comme une citation. Il s'agit d'une citation de l'Époux par la Vierge folle; citation sans trace d'ironie ou d'une distance quelconque, ce qui semble prouver que la Vierge folle adhère, au moins par moments, à l'image mythifiée du surhomme, du mage, du "voyant", que l'Époux cherche à donner de lui-même. Sauf que pour elle, maintenant, cette essence spirituelle a subi une inversion de valeur : le "fils du soleil" (Vagabonds) est devenu un "mauvais ange" (Crimen amoris), un "Démon".



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Accusé par un Rimbaud désespéré, Verlaine sera condamné à deux ans de prison pour son acte de folie. Pendant son incarcération, il veut oublier son amant et se reconvertir à la religion de son enfance. Mais dès sa sortie de prison, il s'empresse de rejoindre Rimbaud à Stuttgart. Ce dernier relate ces retrouvailles dans une lettre à son ami Delahaye: "Verlaine est arrivé ici l'autre jour, un chapelet aux pinces. Trois heures après, on avait renié son Dieu et fait saigner les quatre-vingt dix-huit plaies de Jésus-Christ." Ce sera leur dernière entrevue avant l'exil définitif de Rimbaud en Abyssinie. C'est Verlaine qui publiera toute l'œuvre de son ami et le fera passer à la postérité, au grand dam de la famille de Rimbaud, qui ne souhaitait pas voir diffusés les écrits du poète.


Paul Verlaine





Hombres Hommes – Mille et Tre



Mes amants n'appartiennent pas aux classes riches :
Ce sont des ouvriers faubouriens ou ruraux,
Leurs quinze et leurs vingt ans sans apprêt sont mal chiches
De force assez brutale et de procédés gros.
Je les goûte en habits de travail, cotte et veste;
Ils ne sentent pas l'ambre et fleurent de santé
Pure et simple; leur marche un peu lourde, va preste
Pourtant, car jeune, et grave en l'élasticité;
Leurs yeux francs et matois crépitent de malice
Cordiale et des mots naïvement rusés
Partent non sans un gai juron qui les épice
De leur bouche bien fraîche aux solides baisers;
[…]


Crimen Amoris



Dans un palais, soie et or, dans Ecbatane,
De beaux démons, des satans adolescents,
Au son d'une musique mahométane,
Font litière aux Sept Péchés de leurs cinq sens.

C'est la fête aux Sept Péchés : ô qu'elle est belle !
Tous les désirs rayonnaient en feux brutaux ;
Les Appétits, pages prompts que l'on harcèle,
Promenaient des vins roses dans des cristaux.

Des danses sur des rhythmes d'épithalames
Bien doucement se pâmaient en longs sanglots
Et de beaux choeurs de voix d'hommes et de femmes
Se déroulaient, palpitaient comme des flots.

Et la bonté qui s'en allait de ces choses
Était puissante et charmante tellement
Que la campagne autour se fleurit de roses
Et que la nuit paraissait en diamant.

Or, le plus beau d'entre tous ces mauvais anges
Avait seize ans sous sa couronne de fleurs.
Les bras croisés sur les colliers et les franges,
Il rêve, l'oeil plein de flammes et de pleurs.

[…]



Cinematografia e Bibliografia Contemporanea
a tematica omosessuale





Cinematografia


- Le temps qui reste
regia: Francois Ozon
anno: 2005
nazione: Francia

- La Mala Educaciòn
regia: Pedro Almodovar
anno: 2004
nazione: Spagna

- Brokeback Mountain
regia: Ang Lee
anno: 2005
nazione: U.S.A.

- L’altra metà dell’Amore
regia: Léa Pool
anno: 2001
nazione: Canada

- Poeti dall’Inferno
regia: Agnieska Holland
anno: 1995
nazione: Gran Bretagna

- Le Fate Ignoranti
regia: Ferzan Ozpetek
anno: 2001
nazione: Italia

- Queer As Folk (telefilm)
regia: AA.VV.
anno: 2001
nazione: U.S.A.






Bibliografia


+ Chiedi Perdono di Ann Marie MacDonald
+ Memorie di Adriano di Margherite Yorcenar
+ La verità, vi prego, sull’amore di Auden Wystan
+ Ho chiesto di avere le ali di Anthony Godby Johnson
+ Pomodori verdi fritti di Flagg Fannie
+ Lettere a Marina di Dacia Maraini
 
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._·× HoLLende ×·_.
view post Posted on 27/6/2006, 01:00




Lau, è splendida... ricca, perfetta, concisa, chiara, insomma un'ottima tesina... hai la mia più completa ammirazione... scritta in modo davvero esauriente e preciso... e la semplicità con cui hai spiegato tutto è veramente sorprendente...

che dire, BRAVISSIMAAAAA!!!!!!! così si fa!!! sei un genio Lau!!!!

scusa se le mie parole non sono quelle che ti aspettavi o quelle giuste, ma spesso non riesco a esprimere i concetti come voglio... e i complimenti mi vengono estremamente melensi anche quando non voglio...

ancora miliardi di complimenti, sei stupenda!!!!
 
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°LauraDumb°
view post Posted on 27/6/2006, 01:10




CLIK QUI x scaricare il doc zip!

PIU' COMPLETO, PERCHè CON LE IMMAGINI E LA FORMA DECISAMENTE PIU' INTUITIVA ^_^


baci, siete dei tesori!
 
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..:*Vero*:..
view post Posted on 27/6/2006, 11:48




Semplicemente fantastica!
 
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Francy333
view post Posted on 27/6/2006, 23:14




per quello che oggi sono riusicta a leggere è stupenda... domani la continuo! bravissima ciccia!!
 
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°LauraDumb°
view post Posted on 28/6/2006, 16:22




Grazie ragazze... è andata! ^_^
tutto bene... speriamo qualcosa come un 85 di voto finale! bacio
 
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mara2
view post Posted on 14/6/2016, 18:03




Ciao, so che sono passati 10 anni, ma io sto facendo la tua stessa tesina e ho preso molte cose da questa...ti ringrazio. Ma mica per caso potresti inviarmi il file completo per e mail? perché manca italiano :( la mia e mail è: [email protected]... grazieeee
 
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6 replies since 27/6/2006, 00:32   20549 views
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